Due racconti di Rada Kozelj | take care #03
a cura di Roberta Mansueto
Due racconti di Rada Kozelj
take care - rubrica di ricerca sulla pratica di scrittura nell'arte contemporanea
Le cinque colombe
Detesto il modo catastrofico in cui finisce questa via, prima di scontrarsi con il limite naturale del lago. Una pizzeria che propone la Margherita a 8 euro, unta e indigesta, con arredi da esterno plasticosi e scuri, sfasciati, che poggiano sull'asfalto ocra; seguita da una gelateria contro la quale non ho nulla, ma che condivide con la pizzeria gli avventori: famiglie autoctone dall'aspetto ordinario, quindi deprimente, disperante, coordinato alle sedie di plastica grigio scura dai bordi distrutti; queste famiglie si alternano a turisti prefabbricati, automi privi di fascino. Solo i bambini si salvano. I bambini che giocano intorno alle sedie dei genitori, i genitori che rimproverano il loro essere disturbanti, guizzanti, vivi. I bambini e le cinque colombe bianche. Da quando le ho notate, sono costretta a sorridere ogni volta che percorro quel catastrofico tratto di strada: qualcuno deve averle liberate in conclusione di una cerimonia nuziale, fuori dalla vicina chiesa di San Lorenzo.
La prima volta che le ho viste non credevo ai miei occhi: le loro code esagerate, spudoratamente proiettate all'esterno, sfacciatamente decorative e belle. Qualcosa di bello e bianco che si nutre di briciole prodotte dagli automi che consumano pizze e gelati lungo la via. Un miracolo che mi ha subito preoccupata.
“Le faranno fuori” ho pensato. Ma ogni volta che non le individuo al primo colpo d'occhio alzo lo sguardo in preda a terrore sopra la gelateria: eccone tre sul tetto, altre due appollaiate sulle persiane di una finestra, in posizione simmetrica. Il guano ha rigato le persiane, e immagino la reazione degli inquilini, che come tutti gli autoctoni, saranno ossessionati dalla pulizia.
“Le faranno fuori”, penso, ma lo faccio per scaramanzia, lo faccio immaginando di poterlo impedire, o immaginando di assistere al loro brutale assassinio, immagino la mia vendetta contro la via. Il fuoco esplosivo che rade al suolo, si spegnerebbe solo scontrandosi con il limite naturale del lago.


Il dubbio
Non solo ero sopravvissuta, ma era persino primavera.
E non ero sopravvissuta per caso: il mio nome era stato inciso su uno di quei tronchi, quelli giù in fondo, dove altri erano stati fucilati.
Sin dalle prime settimane di terrore, sapevo che sarebbe successo, e sapevo cosa stessero cercando: una come me, naturalmente...una che li avrebbe capiti.
Non che mi avesse fatto piacere sapere degli altri, ormai cadaveri: ed era questa la differenza tra me e quelli che ormai erano cadaveri.
Non ero l'unica superstite: eravamo stati radunati nella tenda bianca e rifocillati con frutta e formaggi. Non che avessimo preso parte alla fase precendente, quella della tragedia: ripeto, questo mi avrebbe resa simile a quelli che ormai sono cadaveri.
È solo che lo sapevo, lo sapevo che andava a finire così.
Il primo giorno di Paradiso, con le mani ancora appiccicose di frutta, fui convocata da quei magnifici esseri di luce che sono gli angeli sterminatori: con i capelli cesellati in oro rosa, le ciglia trasparenti e sensibili, i sette occhi di buchi neri...i lineamenti invano stereotipati dall'iconografia rinascimentale, le mani dalle dita che strangolano, e con che grazia.
Fui la prima ad essere incaricata: mi affidarono l'ultimo neonato perché lo vestissi di tutto punto: quando ebbi finito, una coccarda metallica gli brillava sul piccolo petto. Dovetti strofinarla con cura perché potesse brillare con ancora più forza, tanto che il piccolo, accecato, cominciò a piangere.
Gli angeli chiedevano che fosse deposto come ultimo rimasuglio dell'orgoglio riproduttivo umano davanti al Museo di Storia Naturale.
Il mio compito esigeva la composizione di un altare adeguato: fu con un martello che liberai il grosso geode di ametista, nella sezione minerali, al piano terra, lasciando agli angeli il compito di trasportarlo e riporlo sulla scalinata all'ingresso del museo.
Scelsi anche alcuni agglomerati di selenite, malachite e citrino giallo, che posizionai personalmente accanto al geode di ametista.
Liberai poi un'intera teca di farfalle, chiedendo agli angeli di infondere loro la forza di volare sulla scalinata e rimanervi lì, sospese, sbattendo le ali così sapientemente dipinte.
Le seguirono alcuni cervi impagliati, un orso bianco e dodici pappagallini gialli.
I reperti archeologici dell'età della pietra e del bronzo vennero accatastati sul gradino più basso della scalinata, dove gli angeli si aspettavano che adagiassi il neonato. Aveva dormito nelle mie braccia per tutto quel tempo. Fu in quel momento che mi sorse un dubbio, e rivolgendomi all'autorità angelica, chiesi, imbarazzata:
-Ma... non sarà eccessivamente crudele?
Fu allora che gli angeli mi risero in faccia, confessandomi che quel dubbio mi aveva risparmiato la vita. Evitarono quindi di darmi fuoco insieme al neonato, sulla catasta di reperti umani, e quello fu solo l'inizio della mia perenne dimostrazione.
Dovevo ricevere ordini, adoperarmi per portarli a termine interpretando i capricci dell'angelico volere, ma dimostrando il coraggio di dubitare.
Detta così potrebbe sembrare una tortura, ma non ho mai trovato così gratificante l'essere pienamente me stessa: reagire con spontanea sottomissione e perfezionismo alle richieste dell'autorità legittima, assecondarne intimamente anche le inclinazioni più brutali...per poi vederle rovesciarsi in me e trasformarsi in pentimento e vergogna, redenzione e pudore. La gamma più completa dell'esperienza umana: la fine del mondo è davvero l'opposto dell'immobile paradiso che mi ero prefigurata!

Durante l'anno del tirocinio presso la casa editrice "Archive Books" a Berlino, ha sviluppato il progetto di scrittura e libro d'artista Adamant. Per le sue composizioni predilige i linguaggi che richiedono la padronanza del proprio segno individuale (disegno, pittura, scrittura, canto), usato alla stregua di uno strumento divinatorio che consenta, attraverso la sua irripetibilità,
la verifica della propria esistenza.
Negli ultimi anni la sua ricerca ha oscillato esplicitamente tra l'arte e i linguaggi simbolici, nutrita ulteriormente dal suo lavoro di tarologa e dal contatto con le problematiche del sistema educativo nel contesto scolastico. Il suo canale You Tube “Opale di Fuoco” è dedicato alla diffusione di questa ricerca. Vive e lavora a Torino.
radakozelj [at] gmail.com
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