Credo che il tuo lavoro sia molto interessante perché ha come filo conduttore la ricerca di un movimento minimo. Tutte le tue performance sembrano voler indagare dei sistemi complessi che vengono ridotti fino all’osso per estrarne una gestualità essenziale.

La mia attività di artista è strettamente connessa allo studio della condizione umana, e del lavoro come parte strutturale di essa. Mi interessa innanzitutto indagare questioni, come lo sono il corpo attrezzo, le resistenze private, l'utilizzo arbitrario del paesaggio: quindi apro ricerche come nel caso degli algoritmi usati da Amazon, dell'alfabeto carcerario albanese o dei raccoglitori stagionali di bottiglie e lattine nella città di Berlino. A questi ambiti “piego” poi l'arte, che è uno strumento molto duttile. Il gesto, il movimento, le azioni corali non sono l’obiettivo della mia pratica, quanto più la risultanza delle ricerche, per certi versi io mi occupo solo di sottolineare certe evidenze già esistenti. 

Una cosa che colpisce del tuo metodo di ricerca è la tua capacità di immersione nelle comunità di lavoratori sui quali stai indagando. Sicuramente per una tua predisposizione naturale alla socialità, ma mi sembra ci sia dell’altro.

C’è un aneddoto personale: ad un certo punto ho pensato che avrei potuto/dovuto fare tutti i lavori del mondo, forse per esorcizzare l'obbligo di doverne avere uno, forse -più concretamente- perché immaginavo un potenziale di azione molto vasto. In generale  tutt'oggi credo ancora che questa sia una metodologia necessaria, come artista e come ricercatore, imparare a stare nel corpo degli altri su più livelli. Per esempio, nella performance Ma vai a lavorare! ho deciso di vestire i panni di un venditore del mercato dell'ortofrutta, semplicemente svolgendo per un mese le relative mansioni.

Per il ciclo scultoreo su Pino Pascali, invece, ho imparato a pensare come lui cercando di acquisire le sue capacità tecniche. Per il film Tre Titoli, che ha visto coinvolti l’ex comunità di lavoratori agricoli di Cerignola (eredi della memoria di Giuseppe di Vittorio) e la nuova comunità di braccianti dal Ghana, ho attivato incontri tra le due comunità che hanno poi portato alla scrittura filmica dell'opera, di cui loro stessi sono protagonisti.

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Nico Angiuli - Vacanze intelligenti, Venezia, Porto Marghera, 2021 - Foto di Nunzio Santoro
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Nico Angiuli - Part-time Resistance, studio, 2022 - Foto di Ivana Pia Lorusso
Quando è iniziato il tuo interesse per la gestualità legata al lavoro?

Durante una residenza a Blanca (Spagna) tra il 2012 e il 2013 al Centro Negra. Qui ho iniziato a riflettere su come l’agricoltura fosse una danza, senza bisogno di dichiararla tale. Ho iniziato a studiare i gesti che sottostanno all’utilizzo degli strumenti nei campi, alla loro trasformazione nel corso dello sviluppo tecnico e tecnologico e come questo abbia influenzato e influenzi tutt'ora il corpo dei lavoratori. 

I gesti, ridotti all’osso, sono già naturalmente delle piccole coreografie e, dopo quattro anni di ricerche e performance, ne ho fatto un archivio: un archivio di gesti umani “fondamentali” e legati all’agricoltura (The Tools’ Dance- Archive of Agricultural Gestures). Se per questo progetto lo studio sul corpo indaga la sua gestualità macchinica, con il film Tre Titoli partendo dalla coltivazione dei pomodori, ho indagato il caporalato e la ciclicità della violenza: lo sfruttamento subito dai locali per mano dei latifondisti, e poi oggi perpetrato a danno della comunità migrante.

Negli anni successivi ho proseguito con l'opera video The Human Tools sui temi della de-umanizzazione del corpo umano inteso come attrezzo, quindi Amazon Dance. Ora sono impegnato con il museo MACTE di Termoli nella realizzazione di Part-time Resistance sui temi delle resistenze private e a cura di Eugenia Delfini.

Oltre ai lavori di performance e video hai portato avanti un progetto su Pino Pascali di cui accennavi prima. Puoi raccontarcelo più nello specifico?

Dal 2006 al 2011 ho collaborato con Stalker/Osservatorio Nomade e, nell’occasione di una tappa in Puglia, ho potuto studiare alcuni dei taccuini autografi di Pino Pascali. Qui erano contenuti delle bozze di alcuni suoi lavori che coinvolgevano l’imitazione di elementi naturali come il vento e il caldo e che Pascali non era riuscito a realizzare a causa della sua prematura dipartita. Mi sono immedesimato nell'artista e ho definito un ciclo scultoreo di 11 opere (di cui ne ho realizzato tre, “Amaca”, “Scala di sabbia” e “Forca”). È stato molto complesso perché ho dovuto imparare a lavorare come lavorava lui, che non aveva nessun limite di tecnica e padroneggiava minuziosamente ogni materiale. Nel lavoro di ricostruzione mi sono fatto guidare anche dal dialogo di amici e galleristi a lui vicini come Claudio Abate, Fabio Sergentini e Gian Enzo Sperone. 

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Nico Angiuli - Incarnatio duabus rotis rotatis, Collezione Fondazione Bevilacqua La Masa Venezia, 2011 - foto Roberto Dell Orco
Raccontami un’opera/una residenza/una mostra importante per il tuo percorso.

Un progetto che mi è piaciuto molto è quello portato avanti durante la residenza a Villa Ruffieux, a Sierre (CH) nel 2014. In questo periodo di residenza ho approfondito il tema della costruzione dell’identità svizzera tramite il paesaggio: la Svizzera ha infatti da sempre legato a sé un immaginario naturalistico, nonostante l’industrializzazione e la conseguente distruzione delle proprie montagne. Questo paradigma, utilizzato a fini identitari, politici e turistici, è chiamato riquadramento del reale e ha in realtà lungo corso (si pensi per esempio alla Scuola di Savièse che già nell’Ottocento era nota per la raffigurazione del paesaggio svizzero).

Il progetto Adieu, Erasing the Alps, sviluppato durante la residenza, aveva come obiettivo la denuncia, attraverso degli atti performativi, di questa costituzione culturale della natura - con il gruppo di giardinieri della villa (il giardiniere è proprio l’emblema della costruzione del paesaggio) abbiamo quindi distrutto delle Alpi di polistirolo per farne della neve finta e mangiato un dolce a forma di Monte Cervino. “Oltre le Alpi, verso il Mediterraneo”, come recitava uno slogan punk degli anni ‘80.

Tre Titoli. studio. elaborazione digitale. 2015
Nico Angiuli - Tre Titoli, studio, elaborazione digitale, 2015 -
Nico Angiuli. Amazon Dance. prodz. Fondazione Onassis Stegi. Atene, 2021
Nico Angiuli - Amazon Dance, prodz. Fondazione Onassis Stegi, Atene, 2021 -

STUDIO VISIT presenta una serie di interviste ad artiste e artisti pugliesi o o la cui ricerca è connessa a tematiche legate al territorio.Filo rosso delle diverse conversazioni è l’esplorazione della materia: il suo utilizzo, le sue specifiche compositive e le osservazioni. L’obiettivo è di creare un dialogo a più voci, una mappatura dei materiali utilizzati nella pratica artistica contemporanea tesa tra la ricerca di nuove possibilità di concretizzazione e la riattivazione delle vecchie.

testo di 
Elena Bray

Nico Angiuli (1981) e un artista italiano formatosi tra le Accademie di Belle Arti di Roma e di Bari; nel 2011, consegue la Laurea Magistrale in Produzione e Design delle Arti Visive presso lo IUAV di Venezia, con una tesi scultorea sull'incompiuto pascaliano. Collabora negli stessi anni con il gruppo Stalker/Osservatorio Nomade. Nel 2011 e assegnatario degli atelier Bevilacqua La Masa. In Spagna, dal 2012 al 2013, lavora a La Danza degli Attrezzi, per tradurre gesti agricoli in coreografie.
Nel 2014, in Svizzera invitato da ViaFarini, un progetto sull'uso politico delle Alpi. Nel 2015 Tre Titoli, film sulla ciclicità del sopruso nelle terre natie di Giuseppe Di Vittorio. Nel 2017 The Tools’ Dance alla Fabbrica del Vapore di Milano, a cura di Care/OF. Nel 2018 il premio Italian Council con The Human Tools, installazione cinematografica circolare, sui temi della
disumanizzazione del corpo umano. Nel 2021 il premio EMAP - European Media Art Platform, per cui traduce in performance – con la Fondazione Onassis di Atene – gli algoritmi di Amazon. Piu di recente Part-Time Resistance, ricerca sulle resistenze private, in collaborazione con il museo MACTE di Termoli. Dal 2017 e docente di Performing Arts presso l'Accademia di Belle Arti di Bari. Vive a Berlino.
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