Studio Visit #1 | Giuseppe Abate
Giuseppe Abate
Per Studio visit, ho deciso di raccontare la ricerca di artisti e artiste la cui pratica si impernia sull’utilizzo di un materiale specifico. Mi piacerebbe nell’ intervista partire da questo pensiero e sentirti parlare di come è nato il tuo interesse verso il pollo come materia per la tua arte.
Mi sono formato in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia dove, tra molte altre cose, ho appreso che dipingere non è facile. Ad esempio: ogni volta che si inizia un nuovo dipinto, inevitabilmente ci si confronta con un medium che è stato utilizzato quasi dagli albori dell’umanità. Ogni pennellata sottende un confronto con la nostra storia, e non solo dell’arte.
Data poi l’assoluta mancanza di regole nella pittura contemporanea, per me non è mai stato facile prendere delle decisioni di tipo tecnico e concettuale con leggerezza. ‘Risolvo il dipinto con una sfumatura o con una grossa pennellata piatta? Questa pennellata è netta, o gocciola? Senza parlare della forma e dell colore. Anche per questo motivo ho sempre amato la pittura.
Quando per un lungo periodo non ho dipinto quotidianamente, ma ho lavorato con altri materiali come il ricamo su tessuto, mi sono approcciato a questa tecnica con gli stessi principi della pittura. Naturalmente il ricamo, così rigoroso nel suo sviluppo, mi ha forse aiutato a concentrarmi di più sull’immagine e sul soggetto del lavoro.
È paradossale, ma ho ripreso a dipingere in maniera costante quando ho iniziato a frequentare il corso Material Futures presso la Central St Martins University, a Londra. Lo scopo di questo MA è quello di elaborare nuovi materiali, nella fattispecie che possano rimpiazzare quegli elementi che oggi possiamo individuare come non eco sostenibili.
Questo focus specifico del corso ha innescato in me riflessioni sull’utilizzo di materiali di scarto. Vi è poi, unitamente a questo fatto, una vicenda aneddotica che mi ha condotto al pollo, come oggetto di una ricerca che porto avanti da circa tre anni. Una sera d’estate ero al cinema quando è comparsa sullo schermo una pubblicità della KFC nella quale il Colonnello Sanders, sulle note della colonna sonora de Il Padrino, declamava: “Cause when you’re on top everybody wants a piece of you”. Questa frase dal retrogusto amarissimo (l’autoaffermazione massima della società del consumo nella quale solo chi è il più forte vince) mi ha portato a ipotizzare una connessione tra pubblicità, società, pollo e violenza.
Mi puoi parlare di più su cosa significa per te il pollo come mezzo artistico?
Il pollo rappresenta innanzitutto una convergenza di discorsi teorici. Come dicevo, sono sempre stato interessato al tema della pubblicità come creatrice di desideri, capaci di essere soddisfatti attraverso l’acquisto dei prodotti di consumo promossi (in questo senso le teorie sulla pubblicità di Edward Bernays sono state illuminanti: un utilizzo malefico della psicologia).
E le pubblicità sul pollo hanno fatto un ottimo lavoro di induzione del desiderio, soprattutto se consideriamo che il pollo fino agli anni ’50 era allevato quasi esclusivamente per produrre uova e non era pensato come un bene di consumo abituale. Un’altra questione che è possibile analizzare attraverso il pollo è la violenza, quella tra uomo e animale (la sovrapproduzione di carne che porta agli allevamenti intensivi), ma anche quella tra uomo e uomo.
Il prezzo ridicolo di una carne di scarsissima qualità conduce a problematiche davvero inaspettate. Infine, la manipolazione della percezione degli individui: per fare un esempio pratico, è possibile trasformare un cibo poco sano come il pollo fritto in un cibo esotico e salutare chiamandolo “Chicken Katsu”, cioè pollo fritto ma giapponese.
Il pollo non rappresenta però solo un crocevia teorico ma anche pratico, un modo per approcciarsi a differenti tecniche artistiche. In questi tre anni, infatti, ho sperimentato il mosaico (prodotto a partire dai gusci d’uovo), la pittura (tempere ad uovo con pigmenti prodotti da sangue, ossa e gusci d’uovo), la scultura e la trattazione di pelli (in questo caso, quelle delle zampe) per ottenere un materiale con il quale realizzare degli stivali da cow-boy.
Qual è stata l’esperienza di mostra, progetto o anche di residenza più rilevante e significativa nel tuo percorso?
Data la mole di lavoro fisico e teorico, penso di poter rispondere a questa domanda con: la mostra Here Comes the Rooster allestita presso la Galleria Michela Rizzo di Venezia. Qui sono confluiti tutti i lavori legati alla mia ricerca sul materiale ‘pollo’. Ad esempio la serie di tempere su tela The Cockpit, raffiguranti scene di violenza nei Chicken Shop di Londra e ritratti di galletti campioni della Londra pre-Vittoriana. I pigmenti utilizzati per questi dipinti sono stati realizzati da me, a partire dalla manipolazione degli scarti del pollo: il Sienna Rooster Blood (pigmento in polvere ricavato dal sangue del pollo ), il Livorno’s White e l’Eggshell Complexion (prodotto tramite la tritatura di gusci d’uovo), il Black Burned Bones o BBB (ottenuto dalla carbonizzazione delle ossa del pollo, poi ridotte in polvere, il cui nome ricorda le tipiche salse Barbecue con cui si accompagna questo cibo). Ci sono poi i mosaici realizzati con i gusci d’uovo che raffigurano, per esempio, le insegne dei negozi di pollo come Chicken Bites e le sculture prodotte con i cartoni delle uova che raffigurano personaggi dei cartoni animati che in qualche modo interagiscono con il pollo.
Di quest’ultima serie sono molto affezionato a Foxy Loxy che rappresenta una volpe con la pancia piena di polli e che è il personaggio del cortometraggio Disney Chicken Little (1943), commissionato dal governo americano a Walt Disney come propaganda antinazista.
Abbecedario e Piroette sono due tuoi lavori che sono legati al ricamo e sono molto diversi rispetto alla tua attività recente di ricerca di cui mi stai parlando, che si concentra sul pollo come medium artistico. Come li inserisci nel tuo percorso?
Non credo che si tratti di lavori molto distanti dalla ricerca che sto conducendo adesso. Tutti e tre fanno riferimento al cibo, al consumo: in Abbecedario, per esempio, ho raffigurato per ogni lettera dell’alfabeto un prodotto del supermercato altamente riconoscibile da tutte le famiglie italiane, perché la società urbanizzata ha molta più dimestichezza con questi oggetti che con le piante e gli animali con cui solitamente sono composti gli abbecedari.
Ho potuto sviluppare inoltre il mio interesse per il ricamo e i tessuti durante diverse residenze promosse da Microclima (Venezia) a Guwahati, in India. Qui ho prodotto i primi lavori che reputo coerenti con la ricerca che porto avanti oggi.
Fino ad ora abbiamo parlato della tua ricerca attraverso la materia, ma mi piacerebbe che mi parlassi di te anche attraverso altre suggestioni che provengono dal mondo non solo dell’arte ma anche della letteratura, per esempio. Scegli un artista e un libro per parlarci di te.
Un autore che ho letto con piacere di recente è Massimo Montanari, che in Gusti del Medioevo: i prodotti, la cucina e la tavola ha affrontato due temi che mi stanno a cuore: il rapporto dell’uomo con il cibo, ovvero con le prime forme di tecnologia per la trasformazione alimentare, e la costruzione dell’identità nazionale attraverso un gusto condiviso. Per quanto riguarda gli artisti stimo molto quelli capaci di mettersi in gioco continuamente, che non diventano la copia di sé stessi. Un artista molto importante per la mia formazione è stato Pino Pascali; l’istituto d’Arte che ho frequentato a Bari era intitolato a lui e quindi è il primo artista contemporaneo che ho studiato e al quale mi sono appassionato, sia per la sua ricerca in ambito artistico che per il suo lavoro meno conosciuto di pubblicitario.
STUDIO VISIT presenta una serie di interviste ad artiste e artisti pugliesi o o la cui ricerca è connessa a tematiche legate al territorio.Filo rosso delle diverse conversazioni è l’esplorazione della materia: il suo utilizzo, le sue specifiche compositive e le osservazioni. L’obiettivo è di creare un dialogo a più voci, una mappatura dei materiali utilizzati nella pratica artistica contemporanea tesa tra la ricerca di nuove possibilità di concretizzazione e la riattivazione delle vecchie.
STUDIO VISIT è una rubrica a cura di Elena Bray per il magazine di Salgemma.