Spore #2 - Il corpo dei luoghi | Bianco-Valente: arte pubblica, territori e progettualità.
Quando questa rubrica ha iniziato a prendere forma, è stato chiaro fin da subito che il terreno sarebbe stato complesso, impervio a volte, perché parlare di territorio può prevedere diverse modalità, e tutte più o meno valide. Si tratta di un concetto complesso, che può prevedere un’analisi antropologica, una sociale e relazionale, ma anche economica e politica. Ovviamente non si può in questa sede analizzare ogni aspetto del concetto, quindi l’obiettivo è, semplicemente, proporre spunti di riflessione, punti di domanda e aprire dei dialoghi in relazione all’idea stessa di territorio e ai vari approcci che via via saranno presi in esame. Alla luce di questo, è stato abbastanza naturale pensare di dedicare una parte di questo discorso a Bianco-Valente (Giovanna Bianco, Latronico, 1962 e Pino Valente, Napoli, 1967).
Il loro coinvolgimento con il territorio, infatti, è vario e diversificato, un po’ per la forte attitudine all’arte pubblica, e un po’ per le modalità progettuali che adottano.
Ora, questo articolo non vuole avere nessuna pretesa di esaustività, in quanto per parlare a pieno di Bianco-Valente e della loro pratica non basterebbero 10 tomi, ma quello che qui, si vorrebbe analizzare è proprio la loro idea di territorio, il loro legame con esso, e di come la loro ricerca riesca ad inglobare un concetto che riesce ad essere così ampio e complesso, ma al tempo stesso così semplice e puro.
Per fare questo ho fatto una lunga chiacchierata con loro, davanti ad una torta al cioccolato e un caffè, e quello che ne è venuto fuori è una disquisizione sul concetto stesso di territorio, di arte pubblica, della contrattazione e del coinvolgimento, sugli imprevisti e sulle sinergie. Tutto quello che in fin dei conti anima un territorio e i territori nella loro accezione più ampia.
La prima domanda a Bianco-Valente è stata cosa fosse per loro un territorio. E la risposta è stata quella che mi aspettavo, quella in cui speravo. Mi hanno detto che il territorio è un “corpo vivo”, composto da persone che vivono e agiscono, in quel dato spazio e per quel dato tempo.
Il loro approccio progettuale si struttura in modo che le persone che abitano quel territorio si sentano protagoniste, parte integrante di un progetto, dove la collaborazione è attiva e reciproca, infatti, artisti e abitanti, sviluppano insieme il progetto.
Ma i territori, i luoghi hanno un’energia propria e Giovanna e Pino ne hanno avuto prova e sensazione. Ogni luogo infatti custodisce una storia, che è fatta delle storie di tutte le persone che ci vivono e che a loro volta portano con sé i luoghi e le persone che hanno incontrato.
Quindi, se è vero che ogni luogo è caratterizzato da una propria energia, un suo corpo, le persone che vivono quel luogo la sentono e la praticano.
Per spiegare questo concetto, Pino mi ha fatto un esempio sul territorio partenopeo, sul quale viviamo, e le cose che mi ha detto io riesco a sentirle, ma le sue parole hanno trovato esattamente la giusta collocazione a sensazioni radicate ma mai profondamente analizzate. Mi ha raccontato che Napoli si trova fra due caldere vulcaniche esplosive molto potenti e che tutti noi viviamo in una fettina di terra che sta in mezzo. Questo fa sì che ci arrivi un’energia dal sottosuolo enorme, pazzesca, costante, che permea le nostre vite, di conseguenza tutto quello che facciamo, anche la più piccola cosa, la facciamo ad un livello energetico molto alto, noi non stiamo mai sereni e tranquilli, e chi vive qui, sa che è esattamente la verità.
In ogni luogo le persone interpretano quell’energia che, anche solo empiricamente, percepiscono. E probabilmente questo è esattamente quello che bisognerebbe intendere quando si parla di genius loci, di energia dei luoghi, e di quanto le persone e le loro vite siano poi influenzate da tutto questo. Per Bianco-Valente è fondamentale capire come le persone interagiscono con quelle energie. In pratica, come suggeriscono, il territorio è come un substrato sul quale pianti una vite, che può darti un vino assolutamente diverso in base alla composizione del terreno. E le persone che crescono su un dato territorio, assumono, volente o nolente, quelle caratteristiche energetiche.
Dopo aver, quindi, a grandi linee, definito il concetto, era fondamentale sapere quanto il territorio e il legame con esso influenzino la loro vita, personale e artistica. Entrambi mi raccontano di essere figli di emigranti, con modalità completamente differenti, ma ciò che accomuna i loro discorsi sembra risiedere nel fatto che il richiamo, il rimando al territorio, lasciato o vissuto, abbia quasi una presenza fisica, come se fosse un attore vivo che fa la sua parte esattamente come tutti gli altri personaggi di queste storie. Da un punto di vista professionale e progettuale, invece, in merito al rapporto con l’idea di territorio, le prime parole che mi hanno detto sono state rispetto e ascolto. E non è difficile immaginare le modalità in cui applicano questi concetti. Il rispetto è tangibile in ogni parola che scelgono di pronunciare parlandomi delle persone e dei territori che via via coinvolgono nei loro progetti. L’ascolto, e osservare come vivono le persone e cercare di capire la stratificazione storica del luogo, è assolutamente parte fondante del processo creativo, così come lo studio delle dinamiche sociali esistenti su quel territorio che si intrecciano alle varie attitudini intrinseche e non sempre lapalissiane.
Perché in fondo lo sappiamo, e Bianco-Valente ne hanno fatto esperienza diretta, se ci stai un po’ in un posto anche se non ci vivi, nel senso abitativo del termine, ma lo vivi, lo pratichi, ascolti il luogo, le persone e le storie, riesci a percepire e comprendere alcune dinamiche. E spesso l’urbanistica e le architetture, gli spazi di condivisione, in particolare, possono raccontare molto di tutto questo. Per Bianco-Valente, le persone e il territorio si influenzano a vicenda, tuttavia per loro è importante fare una distinzione fra il territorio e l’urbanistica, l’architettura e le persone.
Architettura e socialità camminano insieme, invece le persone che vivono lì, assorbono e interpretano l’energia di quel luogo, che agisce a un livello più profondo. E ha sì a che fare con la socialità ma non è così evidente. L’urbanistica e l’architettura, tuttavia, influenzano anche le dinamiche sociali. Mi dicono di fare caso, ad esempio, ai tantissimi paesi spostati dopo eventi catastrofici, terremoti per lo più, o dopo cambiamenti sociali ed economici, che hanno portato ad una dicotomia spaziale e temporale che spesso si traduce, soprattutto nelle aree interne, in “paese vecchio” e “paese nuovo”, spesso non molto distanti tra loro ma profondamente diversi, soprattutto da un punto di vista urbanistico. Parlando di questo, Giovanna sottolinea come spesso, con questi spostamenti, la socialità salti e con essa i rapporti di prossimità. Le nuove scelte che hanno un senso funzionale ed utilitaristico, finiscono per modificare il modo di vivere e dello stare insieme. Inoltre, il fatto stesso di essersi spostati, fa sì che le persone vivano ancora il rapporto con un pezzo mancante, ma sempre presente nella memoria e nelle percezioni.
A proposito di architettura, spazi di condivisione e socialità, è facile andare con la mente ai diversi interventi di arte pubblica di Bianco-Valente, che non risultano essere solo uno strumento o un’eccezione legata al singolo progetto, bensì una vera e propria scelta e necessità. A tal proposito era interessante capire il perché e le modalità in cui questo spostamento verso l’esterno era avvenuto, come e quando sono usciti dagli ambienti chiusi e tradizionalmente deputati all’arte.
Così ho chiesto loro se tutto questo fosse stata una scelta consapevole e legata anche a questa necessità di interpretare il territorio o se invece fosse stata quasi casuale e in qualche modo dettata dai tempi e dalle circostanze… e in più mi sono chiesta perché?
Mi hanno raccontato che quando ti occupi di arte pubblica ti metti in gioco continuamente, senti le difficoltà di interagire con le altre persone, devi contrattare continuamente e sviluppare una sorta di coinvolgimento, di partecipazione, ed è molto più simile alla vita. Soprattutto di questa città. Napoli ci educa e ci costringe a interagire con le altre persone, soprattutto perché, mi ricordano, lo spazio pubblico è poco e frammentato, quindi, quando ne hai bisogno, devi stabilire un dialogo con le persone e capire se c’è un modo per poterne usufruire. E questo vale per tutto, dal parcheggio al mercato, dai tavolini del bar ai passaggi pedonali. Più di tutto, sottolinea Pino, è importante che la comunità ti riconosca la possibilità di usare quel luogo, e per fare questo devi contrattare, continuamente. Credo sia questa la palestra che li ha allenati a fare quello che fanno oggi! Perché l’arte nelle spazio pubblico, nell’accezione di Bianco-Valente, è esattamente questo.
Inoltre, dal momento in cui l’opera viene collocata, la percezione dello spazio viene modificata e per il duo è interessante capire come gli altri percepiscono quello spazio, come lo percepivano prima e come lo percepiscono nel momento in cui si inserisce l’intervento. E non sono spaventati neanche dalle critiche, che arrivano inevitabilmente quando fai un lavoro così esposto, così “pubblico”, addirittura le definiscono “molto vitali”.
Il passaggio fra il “dentro” e il “fuori”, mi raccontano, è stato molto naturale, graduale, ma in un tempo molto preciso, a cavallo con la crisi del 2008. La crisi finanziaria ha fatto saltare gallerie, artisti, carriere, e Bianco-Valente proprio in quel periodo, un po’ per caso, un po’ per volontà, hanno iniziato a lasciare le gallerie e rivolgersi al fuori. Forti già delle sperimentazioni con le installazioni video, hanno iniziato a misurarsi con lo spazio in modi sempre diversi. Poi il passaggio con lo spazio esterno è stato naturale, con le prime commissioni e la scoperta di un’inclinazione assolutamente naturale e intrinseca. E così negli anni hanno iniziato a lavorare su installazioni che coinvolgessero tutto lo spazio, prima interno (gallerie ad esempio) e poi esterno. A posteriori il timing è molto preciso, ma loro mi raccontano, e dalle opere è abbastanza evidente, di non averne avuto la percezione nel momento in cui stava accadendo, ma di averne realizzato la tempistica e le modalità solo in un momento successivo.
A quel periodo infatti risale un lavoro di arte pubblica monumentale, che è stato il primo di una serie diventata poi iconica. Relational, a Potenza, pensato per il palazzo della ex biblioteca provinciale, da tempo abbandonato e ormai invisibile agli occhi dei potentini stessi. Così l’installazione voleva provare a reinserire quel palazzo nel contesto urbano ma anche nella socialità. Ecco infatti che ritorna quell’andirivieni fra socialità e architettura, fra persone e luoghi, che si modellano e modificano a vicenda in una danza perpetua e reciproca di necessità e bisogni. Quindi la volontà di reinserire quel palazzo, quel fantasma, in una rete di relazioni e di architettura, ha dato vita alla rete luminosa che tutti conosciamo! La rete, che ha da sempre delle implicazioni filosofiche e concettuali molto forti, in qualsiasi contesto la si utilizzi, in questo caso ci permette improvvisamente di vedere di nuovo qualcosa che potevamo aver dimenticato, permettendoci di leggere una nuova grammatica architettonica, visibile e lampante nel momento esatto in cui l’installazione si accende, e a quel punto non è difficile immaginare e desiderare che la rete colleghi, filosoficamente sì, ma anche fisicamente quel luogo alle persone.
Questa modalità di lavoro è chiaramente costellata di tentativi, di progetti non accettati, di modifiche in corso d’opera, ma esattamente in linea con il loro approccio alla vita e al lavoro, Giovanna e Pino mi raccontano che quando un’opera in embrione non viene accettata non c’è mai niente che venga veramente perso, in quanto quelle riflessioni potrebbero diventare lo spunto per sviluppare nuovi progetti. Per fare questo bisogna chiaramente essere allenati ad ascoltare e a guardare. Studiare come vivono le persone insieme e i luoghi in cui questo avviene, quali sono le cose peculiari su cui si può giocare e fare leva, per mettere in evidenza alcuni aspetti. Lo scambio, nella concezione del duo, è questo: l’artista viene da fuori, quindi non è parte di quelle dinamiche sociali, il luogo accoglie come può e in cambio riceve un nuovo punto di vista su di sé. Si rendono così visibili delle cose che avevano smesso di esserlo, o forse non lo erano mai state.
Ci sono due aspetti basilari per Bianco-Valente e il loro approccio ai territori. Il primo è l’equilibrio, fra l’enorme quantità di fattori, umani e non, coinvolti. La rabbia e il nervosismo non sembrano appartenere loro, non più almeno. Anzi dalle loro parole sembra che proprio i no, i rifiuti, i problemi e le difficoltà diano al lavoro la scintilla vitale, che siano quegli imprevisti a completare il lavoro, calandolo esattamente in quella situazione, in quel luogo e in quel tempo. Come se con gli imprevisti e le difficoltà il lavoro diventi veramente figlio di quella situazione, di quel luogo, di quelle energie, spesso molto di più di come sarebbe stato senza quegli elementi. Il secondo, invece è l’agire con onestà! Perché se le persone si accorgono che stai barando, si compromette l’intero sistema di relazione e il lavoro e l’esperienza saranno mediocri e inutili per tutte le persone coinvolte. Dalle loro parole emerge che si tratta di una modalità a loro lontana, ma che abbiano esperito in qualche modo questa eventualità e abbiano ben deciso di tenersene alla larga, sposando la sincerità e l’onestà come base assoluta della loro ricerca.
Questa scelta sembra che continui a ripagarli, in ogni nuovo lavoro e progetto. Infatti, al momento stanno lavorando ad un progetto per il Palio della Balestra di Sansepolcro e la quantità e la qualità di energie coinvolte per un lavoro che mi raccontano lungo, complicato e certosino, ne è la prova.
Quando si riesce a coinvolgere così tanto, quando il desiderio di partecipare è tangibile, quando le persone non sono uno strumento ma parte del processo, gli artisti addirittura fanno un passo indietro e lasciano che le energie del luogo facciano il loro corso. Questo vuol dire non avere esattamente il controllo su quello che succederà né tantomeno sul risultato finale ma a Bianco-Valente non sembra interessare. Quello che a loro importa è l’esperienza, il momento, e che tutte le persone coinvolte siano contente di fare quel che fanno.
La stessa modalità di approccio adottata per i progetti di arte pubblica, si applica anche ai workshop, dove la fase di ideazione è assolutamente estemporanea e avviene insieme ai partecipanti e a tutte le persone coinvolte, attraverso i racconti, le storie e le suggestioni. Un esempio lampante di questo è il workshop da Kora (Castrignano de Greci - Lecce), svoltosi la scorsa estate. Durante il workshop si sono toccati diversi temi legati a quel territorio, hanno ragionato sulla Puglia come luogo di conflitti spesso intrinseci, sulla questione linguistica (in quella zona, la Grecìa Salentina, si parla il griko, o grecanico, di derivazione greca) per giungere poi all’annosa faccenda della mancanza d’acqua. Grazie alla partecipazione al workshop, insieme agli artisti, di persone del luogo, sono venuti a conoscenza della tradizione delle Pozzelle. Sembra infatti che una naturale depressione del terreno fungesse da falda acquifera, e venisse utilizzata dagli abitanti come riserva d’acqua e per questo puntellata di pozzi, le pozzelle appunto. La cosa interessante è che queste non avevano nessun nome ad indicarne la proprietà, e ogni famiglia sapeva esattamente quale fosse la propria. Questi accessi al sottosuolo venivano poi ereditati all’interno delle famiglie, dando vita in occasione di matrimoni e connessioni di famiglie, ad intrecci e reti. Questa storia ha dato il via al progetto finale del workshop! Così! Estemporaneo e site specific!
Fondamentale per capire il lavoro di Bianco-Valente sul territorio è l’esperienza di A Cielo Aperto a Latronico in Basilicata, luogo di nascita di Giovanna. Il progetto ha avuto inizio più di un decennio fa grazie al sostegno dell’Associazione culturale Vincenzo De Luca. Il primo contatto, infatti, è avvenuto nel 2007, quando il duo ha realizzato delle installazioni video collocate in diversi punti del paese. Così è partita la connessione artistica e progettuale con il territorio. Da quel momento, hanno poi deciso, insieme a Pasquale Campanella, di rendere quell’esperienza un appuntamento fisso per il paese, invitando ogni anno artisti diversi a cui viene fatta l’unica richiesta che il lavoro sia un intervento di arte pubblica site specific.
L’esperienza in toto prevede un coinvolgimento collaborativo degli abitanti del paese, che possono poi usufruire dei laboratori gratuiti ed inclusivi attivi durante il periodo di svolgimento del progetto. Questo permette di stabilire e rinnovare di volta in volta una connessione con le persone del luogo, che si alimenta e si cristallizza anche con i diversi eventi intermedi o conclusivi della residenza, che restituiscono al paese il risultato dell’intera esperienza. Il tutto diventa un laboratorio permanente di relazione fra artisti e persone del luogo, il che prevede una sperimentazione e uno scambio continuo fra diversi modi di pensare e di vivere un territorio, e la vita stessa.
Il lavoro sui territori, di Bianco-Valente, è un gioco continuo di equilibri e sfaccettature, di studio, di analisi e di ascolto. Un allenamento perpetuo alla condivisione e alla progettazione, e alla creazione di nuove modalità di lavoro, nuove simbologie e nuovi modi di comunicare. Sembra davvero che ogni nuovo progetto sia un punto e a capo, un ripartire da zero. Ogni volta è l’inizio di un nuovo dialogo che porterà ad un risultato assolutamente non prevedibile, figlio perfetto di quel luogo, di quel tempo, e di quelle persone.
Ad ogni modo, tutto il discorso, seguendo diverse direttive, non fa che ritornare e ruotare intorno ad un unico elemento fondante, le persone. Le persone, intese come gli abitanti dei luoghi coinvolti, ma anche come uno degli elementi principali di tutte le fasi di un progetto, dall’ideazione alla realizzazione, alla messa in opera, diventano per Bianco-Valente il vero motore di ogni discorso possibile intorno all’idea stessa di territorio. Anche dopo la messa in opera, il modo in cui la percezione di quel luogo da parte dei fruitori cambia da quel momento in poi, è parte integrante del processo creativo e di analisi.
La verità è che io ho ben presente il processo di modifica della percezione di un luogo, quotidiano e familiare. Quasi tutte le mattine, partendo da casa mia e passando per Via Marina, fra le principali arterie della città, passo in macchina davanti a Nessuno escluso. Quel luogo, prima, dedito solo al passaggio frettoloso e sfuggente, da quando l’opera esiste, invece, ha assunto un valore completamente diverso. A volte, infatti, quando non sono in ritardo, mi fermo un po’ a guardarla, magari accosto la macchina in modo non proprio consono e ci passo sotto, resto un po’, solo un po’, giusto il tempo di sentirmi “non esclusa” anche io, lo faccio soprattutto quando so che avrò una giornata pesante, quando so che avrò bisogno di non sentirmi sola, di sentirmi accolta. C’è chi va in chiesa, chi a correre, chi accende un cero, ognuno ha i propri piccoli riti, più o meno propiziatori, ecco, io passo sotto a Nessuno escluso di Bianco-Valente!
E chissà se nelle previsioni di quel lavoro, c’era anche la possibilità di diventare un luogo rituale per qualcuno che un giorno ne avrebbe scritto.
Bianco-Valente (Giovanna Bianco e Pino Valente) vivono a Napoli dove si sono incontrati nel 1993. Iniziano il loro progetto artistico indagando dal punto di vista scientifico e filosofico la dualità corpo-mente, l’evoluzione dei modelli di interazione tra le forme di vita, la percezione, la trasmissione delle esperienze mediante il racconto e la scrittura. A questi studi è seguita un’evoluzione progettuale che mira a rendere visibili i nessi interpersonali. Esempi sono le installazioni che hanno interessato vari edifici storici e altri progetti incentrati sulla relazione fra persone, eventi e luoghi. Dal 2008 curano con Pasquale Campanella il progetto di arte pubblica A Cielo Aperto, sviluppato a Latronico, in Basilicata, perseguendo l’idea di lavorare alla costruzione di un museo diffuso all’aperto, in cui diverse opere permanenti dialogano con l’ambiente montano, e di intervenire nello spazio urbano con progettualità condivise e partecipate.
Bianco Valente
Costantemente alla ricerca di nuovi stimoli considera fondamentale per la propria crescita e
ricerca professionale, l’attenzione al territorio in cui si opera mantenendo sempre uno sguardo attento al panorama internazionale.