In-ruins
Nell’ambito dello studio sui territori, è facile imbattersi in alcune verità, che si rivelano la chiave di lettura necessaria per la comprensione di alcuni processi.
Fra queste verità, ce n’è una che ha guidato e guiderà questa ricerca, e cioè che alcuni territori hanno bisogno di più tempo per essere realmente compresi. Hanno bisogno di sinergie, di parole, di vento, di cibo, di terra e tanto cielo. Sono territori complessi, che non si svelano con velocità.
In questi luoghi, la conoscenza nasce dalla condivisione, del tempo, dello spazio e delle storie. E la condivisione della conoscenza, per essere autentica, non può essere fugace, ma richiede una durata ed un’intensità che le permettano di insinuarsi agevolmente nelle pieghe dell’io e poterci restare.
Il territorio nazionale è pieno di luoghi con queste caratteristiche, che vivono (a volte sopravvivono, in verità) solo ed esclusivamente grazie alle loro energie, spesso autogenerate. E nessuno di questi luoghi è assimilabile ad un altro, condividono sì degli aspetti, ma l’insieme degli stessi produce risultati assolutamente unici, peculiari e imprevedibili. Ben lontani di certo dalla definizione univoca, livellante e aberrante di “borghi” (PNRR, Bando Borghi ecc.), che li riveste di un'aura mistica e presepiale, slegata dalla realtà.
Ora, chiaramente, non è questa la sede per discutere di nomenclatura e definizioni (anche se il linguaggio detta la storia e le parole definiscono la realtà, ma questa è un’altra storia!) né tantomeno di cosa la politica dovrebbe, o non dovrebbe, fare. Ma questo è il substrato concettuale per analizzare alcune realtà che, partendo da un dato territorio, mettono in relazione le pratiche artistiche con la vita vissuta di quel luogo, che diventa uno degli attori fondanti della ricerca e dell’azione.
Per definizione la residenza è in relazione ad un dato territorio, ma nei casi qui selezionati, non si tratta di una conseguenza nata dalla condivisione fisica di un luogo, ma anzi è il punto di partenza per stabilire modalità, tematiche, partecipazioni, cadenza e tutto ciò che ne concerne.
Il territorio diventa il contenuto e non il contenitore, attorno al quale ruotano tutte le altre energie possibili. In qualità di partecipante attivo, forza generatrice e al tempo stesso motore e guida di ogni azione, il luogo riesce ad essere compreso e realmente vissuto.
Esattamente in questo contesto si inserisce In-ruins che nasce nel 2018, con la volontà di interfacciarsi con il patrimonio archeologico dell’area del bacino del Mediterraneo, in particolare la costa calabrese e il Mar Ionio. Le rovine, appunto, che danno il nome al progetto, diventano il luogo della sperimentazione, dove trova spazio un dialogo aperto con i miti, le simbologie e la memoria che continuano ad essere visibili e tangibili proprio attraverso i resti di quel che fu.
Da qui nasce una sinergia interdisciplinare fra l’arte contemporanea, e la ricerca ad essa legata, e quei luoghi così lontani nel tempo ma vicini nello spazio e nel sentire. Per analizzare meglio il progetto, ho intervistato i suoi fautori Nicola Guastamacchia e Maria Luigia Gioffrè
Qual è il vostro rapporto con il territorio con il quale vi trovate a condividere il progetto di In-ruins? Come nasce il tutto?
In-ruins nasce dal vivo desiderio di agire in Calabria e nel Meridione, terre cui siamo legati per origini geografiche e culturali. Ispirata dalle potenzialità di un “pensiero meridiano”, In-ruins trova quindi il suo pretesto nella presenza massiccia e stratificata di rovine monumentali in Calabria, la cui natura eteroclita non può non spingere a interrogarsi sul nostro rapporto con Storia e storie, tracce, tradizioni, ricordi e memorie.
Queste realtà estremamente situate e, talvolta, periferiche consentono riflessioni che trascendono la loro natura apparentemente immobile e remota. L’arte - come ricerca, incontro e produzione - funge quindi da strumento, lente di ingrandimento, per muoversi tra l’individuale e l’universale, tra il locale e il globale. Sotto un profilo pratico, invece, noi stessi - attraverso il progetto - viviamo un processo di scoperta ed esplorazione del territorio.
La Calabria è grande e complessa. In-ruins aspira a radicarsi pur restando itinerante e le residenze sono quindi precedute da visite e incontri presso Comuni sparsi per la regione. Abbiamo costruito riferimenti precisi, archeologici e non, cui ogni anno se ne aggiungono di nuovi.
Credo fermamente che esistano alcuni linguaggi che sono universali e condivisibili, e tra questi, due linguaggi che ho sempre trovato estremamente assimilabili, quasi due facce della stessa medaglia, due parti di un tutto separati forse solo dal tempo, sono proprio l’archeologia e l’arte contemporanea. Voi quale credete che sia la tra relazione tra questi due mondi?
Crediamo nelle potenzialità dell’archeologia intesa come processo espansivo e interdisciplinare, capace di includere nella propria analisi oggetti e soggetti che trascendono la rovina e la sua collocazione nel passato. Il bene culturale non è espressione di un tempo concluso e vetrificato, ma spinge a interrogarsi e re-immaginare la tradizione che ci attraversa: un esperimento che può condurre alla meraviglia estetica, poetica, intima, politica.
La relazione con l’arte contemporanea esiste laddove per contemporaneo intendiamo, come per etimologia, ciò che agisce nello stesso tempo. Spazi antichi divengono luoghi per ridisegnare l’eredità artistica del passato nell’architettura estetica del presente. Per farlo, i linguaggi dell’arte sono un dispositivo unico e potente.
Sul vostro sito parlate anche di “significato politico delle scoperte archeologiche”, come si inserisce questo concetto nella vostra ricerca?
La scoperta contiene, in sé, i semi del cambiamento e della trasformazione. Scavando nel passato possono riesumarsi dettagli di vita quotidiana così come potenti rivelazioni culturali, che vanno dall’intensità degli antichi rapporti tra regioni geografiche ormai pertinenti a formazioni planetarie opposte, all’importanza che eventi talvolta catastrofici abbiano avuto sul successivo sviluppo di un territorio. In tempi di violento dibattito sulla demolizione di monumenti coloniali, inoltre, la scelta della conservazione o meno di un bene culturale è già portatrice di significato politico.
In un presente incerto e dai futuri improbabili, la scoperta archeologica fornisce quindi strumenti alternativi di comprensione e interpretazione. Finestre su mondi rispetto ai quali spetta a noi definire distanze e differenze. Da questi presupposti, per esempio, non può prescindere qualsiasi discorso corrente che guardi al Mediterraneo non solo come tradizione comune ma come prospettiva di cambiamento.
Da un punto di vista curatoriale, infine, ha per noi significato politico essere parte attiva nel gruppo di numerosi e validi progetti artistici che costellano l’Italia rurale e periferica, nel tentativo di portare questi discorsi fuori dai grandi centri di produzione intellettuale così approcciando in maniera coesa e cosciente la frammentarietà del tessuto sociale e culturale italiano.
Quali sono i più bei risultati in termini di relazioni e condivisioni che avete finora ottenuto? E come avete percepito il coinvolgimento da parte degli artisti?
Sul territorio calabrese abbiamo avuto esperienze positive con associazioni locali e amministrazioni comunali: noi e gli artisti ci siamo sentiti a casa in cittadine mai visitate prima. Gli artisti sono spesso strabiliati dalla possibilità di lavorare a così stretto contatto con importanti siti archeologici. Questo, unito all’ospitalità che caratterizza la regione, è un valore aggiunto su cui le nostre attività possono sempre fare affidamento.
In-ruins opera anche attraverso talk e pubblicazioni non solo per creare nuovi contatti ma anche per mantenere quelli formatisi in residenza. Il progetto ci ha quindi subito portato ad attivare rapporti con altri operatori e organizzatori culturali. Tra questi: Aloisia Leopardi, Direttrice della residenza “Castello San Basilio” in Basilicata, con cui è nata la spontanea volontà di attivare un network di progetti interregionali; Roberta Garieri, ricercatrice calabrese presso il Max Planck Institute e Biblioteca Hertziana a Roma, che ci accompagnerà nelle future attività curatorial ed editoriali; Endless Residency, progetto a cura di Giulio Verago e Silvia Conta; STARE, Associazione delle Residenze Artistiche Italiane; e VOGA art project, Bari, che condivide con In-ruins l’orizzonte mediterraneo.
Il vostro è un progetto che è sopravvissuto a due anni di pandemia, cosa vi aspettate e cosa temete per il futuro?
Per quanto difficile, il periodo della pandemia è stato importante per trovare il tempo di ripensarci e rilanciarci. All’alba della terza edizione della residenza ci sentiamo sicuri dell’importanza sul territorio del nostro progetto ma restiamo un soggetto giovane e fragile. In-ruins richiederà impegno nel reperire le risorse necessarie alla sua sopravvivenza in un tessuto economico non aduso alle opportunità di cui è portatrice l’arte contemporanea.