La ricerca sul territorio implica una serie di scenari molto diversi tra loro, a volte opposti, a volte complementari, a volte semplicemente lontani fra loro. Tuttavia, quella che molti di noi si trovano ad esperire con maggiore familiarità è la misura della città, che porta con sé una miriade di significati e significanti. La città infatti, in accezione storica, è identificata come culla e indice evoluzionistico di civiltà, crocevia di popoli, culture e generazioni.
Oggi invece, è spesso vissuta, sì come luogo possibilistico e fertile di opportunità, ma al tempo stesso come alienante contenitore delle nostre vite e delle nostre percezioni, che denotano un allontanamento dal contatto con la natura e con il prossimo, dalla condivisione, e forse dall’essenza stessa della vita, qualunque essa sia!
Un piccolo baluardo di resistenza di umanità contro “il logorio della vita moderna!” (dichiarava una pubblicità di forse 30 anni fa!), sono forse i quartieri. Dimensionalmente più piccoli, riproducono spesso le dinamiche delle città, ma vivono di proprie leggi, propri usi e costumi, consci di essere una particella di un nucleo più ampio, ma con caratteristiche peculiari e non replicabili. Ogni quartiere vive spesso di vita propria, con i propri orgogli e i propri malanni, mentre fuori la città continua la sua corsa sfrenata contro il tempo (e il traffico!). In linea con Carlos Moreno e la sua “città dei 15 minuti”, i quartieri sono forse la risposta più immediata, e sicuramente molto italiana, alle problematiche delle grandi città
Nell’immaginario e lessico collettivo, la parola “quartiere”, soprattutto quando relativa a città del Sud Italia, è spesso associata a progetti di riqualifica di zone disagiate, malfamate, o in qualche modo da recuperare. Sfido chiunque a confutare il fatto che il primo pensiero sia stato questo, dopo la lettura della parola quartiere. E a volte per fare questo le vie sono due, progetti sociali con le famiglie “del quartiere”, appunto, oppure opere di abbellimento estetico di luoghi o vedute particolari, con opere varie, spesso street art. (Mi sbaglio?)
La verità è che il quartiere può essere tutt’altro che una zona da recuperare o risollevare, da rendere gradevole e “miglioristico” nell’aspetto e nella fruizione. Può essere invece un cuore pulsante, un centro nodale, un ponte di collegamento, può essere mille cose, e anche avere la sua vita chiara e limpida che scorre tranquilla senza scossoni, e senza neanche grandi drammi e/o grandi opere di recupero necessarie.
Ora, che succede se in un quartiere non esattamente centrale, ma neanche periferico, di quelli poco caratteristici e turistici, ma pieni di storia e di storie, un gruppo di artisti decide di fare di quel luogo, non solo il suo quartier generale, ma anche e soprattutto punto di riferimento artistico e culturale di una zona che di tutto questo non ha nulla? Succede una cosa come Quartiere Latino!
Il progetto nasce tra le mura di Atelier Alifuoco, un laboratorio artistico che ospita gli studi e le rispettive ricerche di 4 artisti, Nicola Vincenzo Piscopo, Lucia Schettino, Francesco Maria Sabatini e Maria Teresa Palladino. L’atelier, negli ultimi tempi ha unito le attività private degli artisti in residenza alla volontà di produrre relazioni con altri artisti e operatori del settore culturale, spesso sotto la formula dell’open studio, insieme ad artisti ospiti.
Questa direzione e attitudine del gruppo ha trovato la perfetta collocazione nello sviluppo del progetto Quartiere Latino. Il titolo si rifà ad un collettivo artistico nato tra la prima e la seconda guerra mondiale a Napoli per iniziativa dell’ultimo bohèmien di Napoli, il pittore Giuseppe Uva.
Il gruppo si riuniva su un grande terrazzo di Via Cesare Rosaroll, a pochi metri di distanza dall’attuale ubicazione dell’Atelier Alifuoco, per lavorare condividendo gli spazi, le idee e le energie. Prendendo in prestito questo nome gli Alifuochi decidono quindi di realizzare un “museo d’arte contemporanea a km0”, all’interno degli spazi del condominio che ospita l’atelier, intercettando gli artisti che lavorano nei quartieri circostanti quali Sanità, Foria, Duomo, Carbonara ecc.
“Nella speranza di inaugurare un circolo virtuoso, riabilitare l’immagine di una zona e proiettarla all’accoglienza, QL si propone come punto di rappresentanza della vita artistica del territorio e al contempo un autentico centro di documentazione del contemporaneo”, queste le volontà del progetto, che si avvale del sostegno e delle energie dei commercianti di quartiere. Qui di seguito l’intervista al curatore dell’iniziativa, Nicola Vincenzo Piscopo.
Come è nata l’idea di Quartiere Latino e soprattutto perché? Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto alla realizzazione di questo progetto?
L’idea del condominio-museo è qualcosa di simile alle stazioni dell’arte a Napoli, ovvero la volontà di portare l’arte nel pubblico, nel quotidiano, nella città. Solo che il suo movimento é dal basso e mira a mettere in risalto le eccellenze segrete del territorio. Qualcosa di simile lo stavo improntando con i colleghi del collettivo &nd project, nella speranza di poter trovare una comunione di interessi tra artisti e condomini, tra chi identifica gli spazi e chi li abita.
Il progetto non ha avuto seguito e quando, nell'interesse privato di avere uno studio, ho incontrato Atelier Alifuoco, ci sono state alcune combinazioni fortuite che hanno dato il via a Quartiere Latino. Di base, gli stimoli delle convivenze negli studi di Atelier Alifuoco hanno portato a degli open studio collettivi nei quali si scambiano mondi e opportunità, processo già in atto da qualche anno ad opera dei colleghi Alifuochi.
La voglia di certi innesti viene anche da una condizione di isolamento: da anni possiamo avvertire una certa distanza tra gli artisti del territorio, tendenzialmente abituati ad un percorso solitario, ma nella coscienza del fatto di conoscerli tutti e presentata l’opportunità di presentare un progetto agli art days del dicembre 2021, abbiamo deciso di cominciare a convocarli per lanciarci in questo ambizioso progetto.
Così insieme ai primi artisti con studio nel rione Sanitá, Clarissa Baldassarri e Gabriella Siciliano (due giovanissime stelle del contemporaneo) abbiamo incontrato Paolo La Motta, che con grande entusiasmo ha accettato la nostra proposta, raccontandoci aneddoti di un gruppo di artisti che, circa cento anni fa e nello stesso quartiere, aveva intenti simili ai nostri, sotto il nome di Quartiere Latino.
Esistono delle esigenze territoriali che ritenete di soddisfare con Quartiere Latino?
Cerchiamo di soddisfare delle esigenze che il quartiere non sa di avere: nel risvegliare un senso di appartenenza e di partecipazione attiva, per sentirsi parte di qualcosa di grande e che guardi al futuro, nella cura del proprio abitare. Rievocare, nel sogno, la speranza di chi oramai si lascia vivere, come in alcuni condomini anziani che prima di noi vedevano solo l'abbrutimento di un condominio degradato in una strada sporca e trafficata.
Vogliamo aprire gli occhi a chi non ha più voglia di guardare, allargando il nostro bisogno di visioni diverse a chi non le immagina. La mia, insieme a quella degli Alifuochi e di chi sta sostenendo il progetto, é un’esigenza collettiva di bellezza. Citando liberamente l’opera di Veronica Biesesti per la seconda edizione, vogliamo tirare fuori i diamanti incastonati nella roccia, come fossimo minatori di risorse preziose e nascoste.
A tal proposito voglio invitare i tuoi lettori a visitare le nuove opere di Andrea Bolognino, Veronica Bisesti e Lucas Memmola, inaugurate lo scorso 17 giugno. Qui un'intervista ai 3 artisti.
Il territorio circostante, il quartiere, situato immediatamente fuori al centro storico, forse non è troppo avvezzo a questo tipo di iniziative, ma è probabilmente, proprio per questo, più puro e “vergine” da questo punto di vista. Uno di quei luoghi dove può succedere tutto e il contrario di tutto. Come ha reagito alla prima edizione e in base ai sentori quotidiani, come credi reagirà alle prossime edizioni e al progetto a lungo termine?
Ciò che sembrava necessario per la realizzazione del progetto era coinvolgere degli sponsor della zona, così abbiamo da subito potuto sperimentare l'interesse cittadino. Francesco Sepe di Antica Cantina Sepe (enoteca che sta riqualificando la zona dei Vergini con aperitivi e musica dal vivo), si è innamorato letteralmente del nostro progetto, che all'inizio era solo un racconto mitico accompagnato dalle energie vibranti di un'idea da realizzare.
Grazie a lui riusciamo a organizzare una serie di eventi che ci permettono di raccogliere i fondi necessari per la produzione delle opere. Siamo molto contenti di vedere un grande spirito di condivisione e sulla scia di questa grande spinta stiamo raccogliendo l’interesse degli altri commercianti che presto ci supporteranno per le prossime iniziative, come lo storico ristorante “Lombardi 1892”.
Nel frattempo abbiamo notato come molti studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli si stiano interessando, traendo ispirazione nel fare rete e portando avanti la vocazione del fare arte.
Cosa ti auguri e cosa temi per Quartiere Latino?
L’augurio è quello di trasformare, non solo il condominio, ma l’intero quartiere, mettendo al centro il lavoro autentico di artisti interessati alla collettività. Speriamo che il nostro seme sia stato piantato in un terreno fertile e che Quartiere Latino riesca a diventare una realtà autonoma e autorigenerativa. Le paure sono cose private, individuali; la mia forse è quella di ogni identità indipendente, ovvero quella di non avere sempre le forze di sostenere il progetto.
Hai dichiarato che il progetto durerà due anni con edizioni a cadenza semestrale, credi che potrebbe essere prolungato, trasformandosi e adattandosi in base alle future esigenze o lo consideri un progetto a termine?
Sarebbe fantastico. La forma del condominio-museo è, nel nostro caso, la possibilità di creare un contatto più diretto tra il fruitore e lo studio dell’artista, cuore pulsante della genesi dell’opera. la mappatura di Quartiere Latino é anche nelle ipotesi future di un tour organizzato negli atelier, di un accrescimento degli studio visit o persino di uno Studi Festival come quelli della Milano tra il 2015 e il 2017.
Abbiamo misurato un progetto di due anni in base alla visione di quel momento e siccome la nostra è un’integrazione di visioni che si stimolano in senso perpetuo, possiamo immaginare che arriveremo a costruire ancora, in base alle necessità e le opportunità che si presenteranno ai nostri occhi.