a cura di Roberta Mansueto

take care - rubrica di ricerca sulla pratica di scrittura nell'arte contemporanea

Testo di Lucia Leuci
Opere presentate all'interno della mostra:
IL VERO RICONOSCE IL VERO di Lucia Leuci
a cura di Matilde Galletti - Karussell
visibile fino al 31 gennaio 2025
Resti della Chiesa di San Martino - Palazzo dei Priori, Piazza del Popolo, Fermo









«Qualunque sia il fenomeno studiato, occorre innanzitutto che l'osservatore studi sé stesso, poiché l'osservatore o turba il fenomeno osservato, o vi si proietta in qualche misura.»

Edgar Morin, Lo spirito del tempo (1962)


«Dicono di me
Che non credo a niente
Dicono di me
Che sono insolente
Che non scanso mai
La scelta incoerente
Dicono che ormai
Rischio inutilmente»

Milva, Dicono di me (1983)


«Io non so dire mai la verità
Senza mentire
Devi somministrarmi il Pentothal
Bla, bla»

Marracash, Pentothal (2024)

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“Tu vuoi catene!”, continua a ripetere un caro amico, con l'intento di indurmi a comprendere che il mio bisogno di giustizia — questa necessità di ottenere risposte, di fare chiarezza — non mi aiuterà a trovare la serenità. Volere catene, nel suo modo di dire, sottolinea la mia costante ricerca di soluzioni, il desiderio di non lasciare nulla in sospeso eppure, nonostante il suo avvertimento, è necessario che io prosegua su questa strada per quanto possa sembrare irrazionale, cercando risposte a domande che forse non troveranno mai esaudimento.

In un atto di ricerca incessante, la necessità di trovare armonia ed equilibrio, si manifesta nel mio modo di lavorare; ogni risposta è come il disegno che riproduco, mai uguale al precedente, ma paradossalmente sempre lo stesso. Ogni nuova iterazione genera trasformazione e nuovi significati si svelano. La mia pratica artistica è un processo continuo, mai stagnante, una piccola sfida contro l’indefinito, una spinta verso una comprensione sempre più profonda di un’individualità che diventa collettiva.

Lo stesso disegno, ripetuto più volte, è un rito che si rinnova e si evolve. In questa serie di opere, tutto ha inizio con un semplice vaso di fiori: la forma iniziale si ripresenta continuamente, come un’eco che cresce, si espande e si distorce. Il disegno eseguito in acrilico su carta, porta con sé leggere iterazioni e piccole modifiche: le linee si piegano, le proporzioni cambiano, le sfumature si alternano. In questo processo, non ambisco alla perfezione, ma a proporre una nuova visione del soggetto rappresentato. 

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Così facendo, in fondo, è rinarrare le mie stereotipie. Ogni volta che il vaso di fiori appare sulla carta, mi pongo domande, metto in discussione i significati che ho attribuito a quella forma, a quell’immagine. La ripetizione diventa un modo per rielaborare le idee che ci sono più intime, quelle che diamo per scontate, ma che non smettono mai di offrire nuovi spunti. È un processo che riflette il desiderio di svelare le stratificazioni che compongono ogni immagine, di interrogare le convinzioni che ne definiscono il significato restituendo vita a ciò che sembra ormai acquisito.

Ogni replica diventa una nuova occasione per raccontare, riscrivendo la stessa storia con un gesto che cambia e si adatta, aprendo quindi spazio a possibilità diverse. È come guardare un qualcosa di familiare da angolazioni sempre nuove, per scoprire finalmente ciò che prima era nascosto dietro le pieghe della consuetudine.

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Lucia Leuci, Voglio catene, 2024, acrilico su carta, 23x31,5 cm (x3)
Crediti fotografici: Alessio Beato

Lucia Leuci è un’artista visiva che vive e lavora a Milano. La sua pratica si articola attraverso disegno, pittura, scultura e installazione, considerate come espressioni primarie e istintive, riflessioni archetipiche che trascendono la scelta individuale. L’atto performativo, nella sua opera, diviene un’oscillazione tra manualità intima e socialità collettiva, quest’ultima intesa come condivisione e trasmissione di saperi e azioni. Attraverso l’accostamento di elementi in contrasto, spesso scelti per le loro risonanze emotive con dettagli minuti, e la ricerca di materiali sia artificiali che organici, Leuci esplora i temi della maternità, dell’identità “creola” contemporanea e del rapporto con l’ambiente.
Il suo lavoro riflette infatti su come il paesaggio, sia naturale sia urbano, influenzi le relazioni umane e i processi creativi. Con una sensibilità verso i materiali sostenibili e il recupero di elementi di scarto, Leuci indaga la fragilità del rapporto tra uomo e ambiente, invitando a una riflessione sull’impatto ecologico dell’attività artistica. I materiali diventano, così, simboli di una tensione tra artificiale e naturale, rievocando sia la vulnerabilità dell’ecosistema sia il desiderio di riavvicinamento alla terra.
L’opera di Leuci analizza anche una società in cui classi sociali e nazionalità si dissolvono in un’estetica omogenea, priva di identità precisa, una visione della vita segnata dalla standardizzazione e dalla contrazione economica. Gli oggetti divengono quindi pretesti per evocare categorie politiche, sociali e sentimentali, aprendo spazi di riflessione su una convivenza più rispettosa dell’ambiente. La vicinanza e il dialogo tra gli elementi sono scelti con cura creativa, mentre proporzioni e ritmo si caricano di potenzialità espressive, divenendo strumenti per comunicare il significato profondo della sua ricerca artistica. Tra le mostre personali recenti: “Anonymous Encounters” in dialogo con Dorota Gawęda & Eglė Kulbokaitė, eastcontemporary, Milano (2022); “La ragazza di città” in dialogo con Carol Rama, Tempesta gallery, Milano (2020); “Prendersi cura” a cura di Christina Gigliotti, Polansky Gallery, Praga; “Family Drawings” in collaborazione con Zoë De Luca, Unit110, Chinatown/New York (2018); “Materia prima” Fondazione Adolfo Pini, Milano (2017); “Mamme cattive, bambini creoli”, TILE Project Space, Milano
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