ContrAppunti - pensieri sparsi mentre torno a casa #03
Una fotografia onesta
di Alessandra Costantiello

Dal finestrino ogni porzione di paesaggio mi sembra interessante.
Tutto quello che lo sguardo incontra in questo movimento è una realtà che pare si costruisca al momento come un set cinematografico, solo per me, solo per questo istante in cui attraverso, lungo la linea ipnotica dei binari, la pianura puntellata di ulivi. Forse doveva essere una scena vista in The Truman Show (1998) in cui la realtà sembrava costruirsi al passaggio di un ignaro Jim Carrey. Sto andando a Trani a vedere la mostra in corso Storie di Puglia. Fotografie dall’archivio di Gianni Berengo Gardin, visitabile sino al 30 giugno a cura della storica dell’arte Alessia Venditti e organizzata da Delle Arti Odv Ets a Palazzo Beltrani, di questo splendido palazzo e della collezione della pinacoteca che contiene ne abbiamo parlato in questa puntata del podcast.

La mostra raccoglie trentasei fotografie scattate per il Touring Club Italiano a metà anni Sessanta periodo in cui la fondazione si faceva committente di grandi fotografi per documentare e valorizzare il patrimonio culturale e artistico italiano. In queste spedizioni i fotografi entravano in contatto con le comunità locali cercando di individuare e immortalare un genius loci, un’identità specifica che potesse raccontare la verità e la poesia di un luogo.
Dal dopoguerra in poi il Sud Italia è sempre stato oggetto di indagine negli occhi dei fotografi, soprattutto stranieri. Numerosissimi i reportage tra Basilicata, Calabria e Puglia. L’impulso dato dagli studi dell’etnologo e storico delle religioni Ernesto de Martino ispirò una stagione di fotografi documentaristi che mapparono con le immagini e con le parole la vita di un Sud Italia oggi ormai quasi completamente estinto.

Il sud è oggetto di studio e sperimentazione vale la pena menzionare il metodo dell’urbanistica partecipata di Polis, il Piano Regolatore del Comune di Tricarico dedicato alla memoria di Rocco Scotellaro. La fotografia in questo caso era uno strumento di rilevamento e di progettazione di lettura della pluralità dei fenomeni urbanistici ma anche sociali e culturali.
Il rinnovato interesse per la fotografia come documento del reale aiuta le amministrazioni a progettare, ma anche gli abitanti a rintracciare un senso di appartenenza a un territorio e a una comunità. Sentimento fondamentale da rintracciare per scongiurare i processi di emigrazione e di spopolamento delle aree interne del Paese.

“La fotografia nel mio caso non la faccio io, la fanno i fotografati secondo come si comportano, le smorfie che fanno e non fanno, e quindi io, se vuoi, ho solo la capacità di scattare al momento giusto. Questa è la mia unica capacità, e di scegliere certi argomenti da fotografare.”
(Giovanni Berengo Gardin)
La fotografia per Berengo Gardin è una composizione estemporanea di quello che accade, la ricerca di un equilibrio di persone e architetture nello spazio che appare e che è necessario fermare in un momento che costruisce il caso, il tempo, lo sguardo fortunato che si posa su una realtà perfetta in un preciso istante. Quello che accade tra chi osserva e chi è osservato non è rapporto sbilanciato, non è solo il fotografo che “ruba” (l’anima, come Baudelaire sosteneva agli albori della fotografia). Nel dialogo/incontro fra osservatore e oggetto osservato c’è un terzo elemento: la vita.
E la vita sta sempre fuori dalla sua rappresentazione (1).
(1) Fotografia e materialità in Italia, Nicoletta Leonardi, Postmedia Books, Milano, 2013, p.105

C’è una specie di inconscio tecnologico nella camera, occhio nell’occhio, che sa quando è giusto fotografare. Mi viene in mente il film Blow Up (1966) di Michelangelo Antonioni in cui la fotografia ci mostra una realtà che non abbiamo neppure visto mentre la scattavamo, ma che si rivela soltanto nel momento dello sviluppo fotografico (spoiler: in camera oscura appare tra i liquidi rivelatori dello sviluppo la sagoma di un assassino) o, comunque, in un momento successivo allo scatto. Non solo, c’è anche la teoria dell’istante decisivo di Henri Cartier - Bresson che fa riferimento a tanti piccoli flagranti delitti in cui il mondo si organizza e in cui il fotografo deve poter cogliere la vita di sorpresa.

Nel racconto della Puglia di Gardin c’è il riferimento ai riti, alla povertà, al boom economico, alla città che esplode e alla campagna che si allontana, ai contadini, agli artigiani, alle signore fuori dal portone. I bambini per strada, tanti, sempre loro. Ma ci torniamo tra poco. Gardin, nel tacco d’Italia, sta documentando una regione ancora fuori dall’immaginario nazionale e internazionale (non è la Sicilia o la Campania, presenti già nei racconti dei Grand Tour ottocenteschi) e non ancora contaminata dal turismo massivo e omologante che fagocita. La Puglia è una terra autentica e pura nella sua inconsapevole bellezza: le murge, il mare, i centri storici e le città bianche. Un mondo piccolo e lontano dal progresso galoppante che sta accadendo o è già accaduto nel resto d’Italia. Per questo l'esperienza pregressa della fotografia documentaria e concettuale come quella di Paul Strand, Mario Cresci, Herbert List, David Seymour e Cartier Bresson è fondamentale nella visione che Gardin ha della Puglia.
L’altra ispirazione di Giovanni Berengo Gardin, ligure di nascita ma milanese di adozione, è senza dubbio la scena artistica francese. A Parigi resterà due anni appena venticinquenne e farà da portaborse prima a Robert Doisneau e poi Willy Ronis, col primo arriverà ad una vera e propria rottura dovuta ad una differente visione della fotografia. Scoprirà, infatti, che le fotografie di Doisneau non erano affatto spontanee come si pensava, ma perfettamente architettate come su un set.
La delusione per Gardin che intendeva la fotografia come gesto immediato e irripetibile è enorme e per questo farà rientro in Italia deciso a portare avanti la sua poetica. Troverà tanta fortuna con le grandi commissioni di Olivetti e Renzo Piano, potendo sperimentare anche la fotografia d’architettura e il dialogo cross disciplinare.
Si potrebbe dire che Giovanni Berengo Gardin cercasse una fotografia onesta, (per citare Umberto Saba che definiva la sua poesia onesta rispetto a quella artificiosa di Gabriele D’Annunzio) sincera nella forma e nel contenuto, senza distorsioni e manipolazioni, privilegiando una forma diretta e autentica.
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Quello che mi porto nel cuore di questa mostra è una strana coincidenza: mentre guardavo la locandina dell’esposizione (tra l’altro regalata al botteghino col biglietto e le note alla mostra) pensavo a quanto mi ricordasse una foto di Bresson vista in mostra un mese fa al Camera di Torino (nella mostra monografica Henri Cartier Bresson e l’Italia), in cui un gruppo di bambini di spalle è immortalato mentre corre e gioca nella piazza principale di Siena.
Nei giorni trascorsi a Torino da mio fratello che lì ci abita, e che, con i bambini ci lavora, gli ho regalato quella fotografia di Bresson che ha incorniciato e appeso in un angolo in cucina. Mentre guardavo la mostra ho pensato che gli avrei regalato questa foto di Gardin per metterla accanto a quella che ha già perché mi sembra che ci sia una felice affinità tra queste due fotografie. Un momento perfetto e sincronico accaduto in due città e in due attimi perfetti catturati dagli occhi di due grandi fotografi in cui, per un momento, forse, hanno assistito alla stessa scena ma in due momenti e spazi diversi.

Uscendo dalla mostra mi sono soffermata a guardare l’intervista che la curatrice ha fatto proprio a Berengo Gardin, il quale non solo omaggia Bresson per l’amicizia e la stima, ma ad un certo punto fa riferimento proprio alla foto scattata a Siena in cui pare, in un scambio di dediche e ammirazione, si siano accorti di aver fatto la stessa foto.
Che meraviglia la fotografia, vero?
Per visitare la mostra potete consultare orari di apertura, prezzi e riduzioni sul sito del Palazzo Beltrani.
Mentre riprendo il treno creo una playlist a tema solo per voi:
Le foto non me le fai mai - Giorgio Poi
Taking pictures of You - The Kooks
In bianco e in nero - Carmen Consoli
Simon & Garfunkel - Kodachrome
Al prossimo ContrAppunto!