Il mio corpo è anche il corpo della parola

di Alessandra Constantiello

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Sto cercando col navigatore la nuova sede della galleria “Museo Nuova Era” che dal centro storico di Bari si è spostata verso la periferia. Percorro via Capruzzi attraverso la zona del conservatorio e piano piano mi lascio la città alle spalle. Il profilo delle cose davanti ai miei occhi si fa sempre più buio. Un ponte, una carrozzeria, capannoni in cui non si capisce che si fa, le persone diventano presenze sparute e le macchine accelerano, lì dove si ingrana, per uscire dalla città. 

Mentre cammino penso a Sylvia Plath (sì, non fate commenti, penso anche tanto a Sergio Mattarella, Robert Pattinson e a cosa mangerò nell’arco della giornata) in particolare ad una frase: “Voglio essere in grado di dormire in un campo aperto, viaggiare ad ovest, camminare liberamente durante la notte..." perchè provo spesso la sensazione di paura e allo stesso tempo di rabbia quando cammino e sento di dover prestare attenzione a tutto solo perchè sono una femmina che cammina, in una strada buia. 

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Courtesy Archivio Binga – Menna © Archivio Binga Menna

Sto raggiungendo la mostra Segni Di/versi In/versi a cura di Salvatore Luperto che attualmente ospita la galleria, gestita da Rosemarie Sansonetti, è un’occasione eccezionale per poter osservare da vicino alcune opere di Tomaso Binga, nome d’arte di Bianca Pucciarelli Menna (Salerno, 1931), poetessa e performer italiana esponente della poesia sonora e della poesia concreta. Se siete andati in confusione, niente paura. L’artista sceglie, sin dagli anni Sessanta, un nome maschile per denunciare la condizione delle donne nel mondo dell’arte. Un nome da uomo, come dissero ad Emily Brontë che pubblicò il suo primo romanzo Cime Tempestose con lo pseudonimo maschile di Ellis Bell, o a Mary Shelley che pubblicò il suo Frankenstein con il nome del marito -  per ottenere credibilità e rispetto per il proprio talento. 

Foto della mostra in corso presso Museo Nuova Era - Bari
Foto della mostra in corso presso Museo Nuova Era - Bari, Courtesy Salgemma

Nel Novecento e nel pieno dei movimenti femministi di cui Bianca Menna ha fatto parte, declinare al maschile il proprio nome - in questo caso con un omaggio a Filippo Tommaso Marinetti, - diventa un atto di ribellione di denuncia verso un sistema dell’arte che privilegia gli uomini. In una performance del 1977 nella galleria romana Campo D mette in scena con Oggi spose, visibile in mostra, il matrimonio tra Tomaso Binga e Bianca Pucciarelli Menna, i due sè, sancendo il completo sodalizio tra la donna e l’artista. 

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“Bianca Menna e Tomaso Binga Oggi Spose” (1977) Courtesy Archivio Menna-Binga. Fotografie di Roberto Bossaglia.

Arte che sperimenta con la pittura, il collage, la scrittura, la performance, il disegno, la scultura. Ogni medium ha come filo conduttore la pratica dell’arte come scrittura desemantizzata, un codice che diventa puro segno (Dattilocodici, 1978) o puro suono.

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Dattilocodice # 1 (semplice) (1978) Courtesy l’Artista e Galleria Tiziana Di Caro, Napoli. Fotografia di Danilo Donzelli

L’opera più significativa della sua produzione  -  e che vedrete in mostra al Museo Nuova Era, - è Scrittura Vivente (1975) in cui l'artista si fa fotografare da Verita Monselles (1929 - 2005) mentre col suo corpo dà vita a tutte le lettere dell’alfabeto. 

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Tomaso Binga, Lettera V, particolare dell’Alfabetiere murale, 1976, collage su cartoncino (21 elementi), cm 32,5×24 (cadauno). Ph. Ciro Fundarò. Courtesy: Collezione Archivio Menna – Binga e Galleria Tiziana Di Caro

Quest’opera l’ho vista per la prima volta al Madre di Napoli e poi al Phest di Monopoli e oggi qui a Bari e ogni volta mi ricorda quei cartelloni per imparare l’alfabeto che ci facevano fare alle elementari (o ancora prima?) e che si teneva lì appesi come crocifissi, sempre sott'occhio. Ogni lettera ospitava una parola, A di altalena, B di balena, C di casa e così via. Non parlo a caso di bambini, di gioco e di apprendimento. Studiare l’alfabeto è propriamente qualcosa che appartiene ai bambini e che comprende: imparare la fonetica, la forma di quelle lettere che formeranno parole ed infine il loro significato. L’opera di Binga ricorda lo stupore di quando si ascolta una parola per la prima volta e si cerca un’assonanza, una rima, o la si pronuncia a ripetizione per memorizzarla, ma la ripetizione ossessiva, come un mantra, finisce per svuotarla di senso o darne uno nuovo.

Per capire di cosa sto parlando vi invito a guardare questo video:

Nel 2019 la stilista Maria Grazia Chiuri invita Binga a performare una poesia sonora in apertura alla sua sfilata autunno - inverno 2019-2020 mentre la sua opera Scrittura Vivente fa da sfondo alle modelle.  

È interessante il processo per cui il corpo della parola per Binga viene portato al limite fino a diventare niente, al contrario la moda veste e carica di significato i corpi con gli abiti. Se Binga spoglia arrivando al cuore delle cose, della parola, del corpo, del suono, allora la Chiuri, riempie di senso, citazioni e di stratificazioni fino a creare qualcosa di nuovo rispetto al pastiche da cui era partita. Come sostiene Roland Barthes: “il vestito rende significante il corpo, dunque in qualche modo lo faccia esistere, lo valorizzi dandolo a vedere o - che è lo stesso, ricoprendolo“. (Il senso della moda, Forme e significati dell'abbigliamento). La stilista e l’artista, dunque, stanno facendo esattamente la stessa cosa. 

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La moda, d’altronde, come dice Alessandro Michele: “[...] è solo il trucco che abbiamo inventato per poter divinare, esprimere e restare in ascolto della moltitudine di voci e di sguardi, che permea le nostre vite.” ( La vita delle forme, p. 51) Questa corrispondenza tra arte e moda esiste da sempre, notevoli gli esempi negli anni Settanta come l’atelier di Germana Marucelli disegnato da Paolo Scheggi -  ma senza dubbio è la direzione della maison Valentino del duo Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli che porta nel contemporaneo l’idea che queste due discipline siano intimamente connesse, ed in particolare l’idea di un “atelier come luogo dove è difficile segnare il confine tra abito e corpo, tra vita e vestito, tra invenzione e realizzazione ha riacquistato il senso di laboratorio inventivo  dove collassano immaginari, progetti e forme. Succede allora che alcune delle loro collezioni prendono forma e colore dalle collaborazioni con artisti che si misurano con la dimensione dell’opera d’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica.” (Maria Luisa Frisa, Le forme della moda, p. 87) 

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DIOR, AUTUMN/WINTER 2019-2020, GROUPSHOT ©Sarah-Pintadosi-for-Dior

D’altronde proprio la Binga si era cimentata nella creazione di un abito all’interno della perfomance Carta da parato (1976). L’artista aveva cucito un abito con la carta da parati poi indossato durante una performance all’interno di una casa privata con le pareti interamente tappezzate della stessa carta disegnata dall’artista, fatta di parole che diventano pura decorazione e segno (o pura poesia?). L’artista che si mimetizza con l’arredamento recita Io sono una carta si confonde con il muro, quest’azione riflette la condizione femminile di quel momento storico in cui la donna coincide esclusivamente con la casa stessa. Nell’ambito della seconda ondata del femminismo questa opera assume il significato di denuncia della condizione della donna nella società relegata al solo lavoro domestico o ad un ruolo decorativo, accessorio, non sostanziale.

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Tomaso Binga, Carta da parato, 1976

Con queste due opere l’artista racconta la riappropriazione del linguaggio e del corpo da parte delle donne: nucleo fondante del movimento femminista. Si tratta, purtroppo, di un'emancipazione non ancora raggiunta, a causa di una serie di stereotipi creati da un sistema patriarcale che ingabbia noi donne, e in ultimo, anche gli uomini. Anche l’arte può raccontare - denunciare- mostrare e problematizzare cos’è e cosa è stata la marginalizzazione femminile nella società. “Non vogliamo più sentirci entità astratte, ma persone fisicamente, socialmente, politicamente umane”, dice Binga. 

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Bianca Pucciarelli Menna, Edoardo Sanguineti con la moglie e Filiberto Menna, a Vietri sul Mare (SA) (1974).
Courtesy Archivio Menna-Binga

Se ho parlato di corpo mentre cammino per strada da sola al buio, e di poesia, (la Plath che descrive esattamente come mi sento anche se parlava di una donna nell’America degli anni ‘50) è perchè credo che il lavoro della Pucciarelli rispecchi sia questo interesse primigenio per le parole che risuonano in un corpo, sia il corpo delle parole, talvolta denso di significato e talvolta scelto per la sua musicalità. E di corpo che recupera il suo centro e si riafferma nello spazio sociale, individuale, proprio come il mio che in questo momento ha paura a camminare in questo spazio inospitale.

Tutto parte e conduce al corpo, tutto passa per il corpo. L’ho realizzato dopo due anni di terapia e me lo ha confermato un libro che ho tra le mani Corpo, umano di Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicanalista che dedica un intero libro alla descrizione dettagliata del corpo, unendo poesia, arte e medicina. In un passaggio che mi ha commosso ho trovato una chiave di lettura di tante cose: una poesia di Walt Whitman che originariamente doveva chiamarsi “corpo umano” e che poi prenderà il titolo di I Figli di Adamo. In quella enumerazione ossessiva di parti di corpo in realtà si scorge la parte di noi più inafferrabile che sembra non avere una sede se non essere dappertutto. Ecco che allora, tra l’avambraccio e le valvole del cuore, troviamo la nostra anima.

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Tutte le opere citate di Tomaso Binga sono presenti in mostra presso Museo Nuova Era

Strada S. Giorgio Martire 9, 70124, Bari

Orari, 17.30 , 20.30 chiusura mercoledì, domenica e festivi.

Info: +39 3334462929 

Mentre cammino divago su:

  • Un’opera: Durante la Milan Drawing Week 2023 è stato presentato nelle stanze di Spazio Lima a Milano, un lavoro che ha messo in dialogo l’opera Dattilocodici di Tomaso Binga della Collezione Ramo e nuove carte da parati realizzate dall'artista Benni Bosetto che dice: “Per entrambe [le artiste] le parole sono troppo instabili, traditrici e vulnerabili; il disegno, il segno, il gesto invece, avendo la capacità di modellarsi e adeguarsi, permette di sopravvivere in ogni territorio. Si tratta di una questione di libertà.”
  • Un podcast: Sigmund: in questa puntata è ospite proprio Vittorio Lingiardi, se volete approfondire questo splendido libro Corpo, umano, Einaudi, 2024;
  • Un libro: La vita delle forme, Filosofia del reincanto di Alessandro Michele e Emanuele Coccia (2024) HarperCollins, una conversazione  tra il filosofo e lo stilista: memoria, archeologia, identità. Consigliatissimo!
  • Un album: Eusexua (2025) di Fka Twigs, al secolo  Tahliah Debrett Barnett una performer, ballerina, cantante inglese che da sempre unisce lo studio del movimento del corpo a quello della musica. Molte le sue connessioni anche con il mondo della moda, un esempio su tutti la bellissima performance durante la sfilata di Valentino l’École del 2023 in cui mette in scena un vero e proprio rituale. Guardatelo qui!
  • un film: Poor Things (2023) di Yorgos Lanthimos: in cui la riappropriazione del linguaggio e del proprio corpo da parte della protagonista Bella Baxter è al centro dell’evoluzione del suo personaggio.

Al prossimo contrappunto!

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Spazio Lima, Benni Bosetto + Tomaso Binga (Collezione Ramo) per la Milan Drawing Week 2023

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