MATRIOSKA è il podcast di Salgemma a cura di Alessandra Costantiello e Aurora Lacirignola che ogni mese vi porta in giro a scoprire luoghi, opere e pratiche artistiche che compongono il panorama dell'arte contemporanea.

Episodio 03 | Ma sai che ognuno c'ha il suo mare dentro al cuore sì/ Siamo tutti connessi - Intervista a Valentina Vetturi

Nel terzo episodio di questa prima stazione di Matrioska, visitiamo lo studio di Valentina Vetturi che ci guida nella sua produzione. Da “Tails” (2023), mostra curata da Silvia Franceschini a Spazio Murat a Bari, arriviamo ai suoi ultimi lavori: paesaggi performativi che indagano il rapporto tra digitalizzazione e intelligenza vegetale. Ad accompagnare l’ascolto, le sperimentazioni elettroniche dell’etichetta Canti Magnetici che intrecciano suoni e atmosfere in dialogo con la natura.

Una sera, a cena, mio marito mi racconta una storia che ha sentito, a proposito di un'imbarcazione nell'Atlantico settentrionale, e di un uomo destinato ad annegare. La sera dell'11 marzo 1984 un peschereccio navigava su acque tranquille a 5 chilometri a est dell'isola di Heimaey (pr.heimai), parte di un arcipelago al largo della costa meridionale dell'Islanda. Il cielo era terso, la temperatura a -2°C a bordo, un equipaggio di cinque persone. Un'onda lunga sbalzò la barca, rovesciandola, e i marinai si ritrovarono catapultati nel mare gelido.

Due di loro annegarono sul colpo ma gli altri tre, compreso Friohorrson, riuscirono ad aggrapparsi alla chiglia. Gli uomini iniziarono a nuotare verso la riva. In una manciata di minuti rimasero in due: Jonsson e Friohorsson.

Si chiamavano l'un l'altro tra le bracciate, spronandosi a vicenda. Poi Jonsson smise di rispondere. Friohorsson, che indossava solo un paio di jeans, una camicia di flanella rossa e un maglione sottile, continuò a nuotare, e prese a parlare con i gabbiani per rimanere sveglio. Nuotò sul dorso, con gli occhi puntati verso il faro della punta sud insulare. Quando finalmente vi giunse, gli si parò il profilo della città, e gli parve una sublime visione onirica; arrancando, bussò alla porta della prima casa in cui si imbatté, dalle luci accese. Soccorso, al suo arrivo in ospedale, i dottori non riuscirono a trovargli battito. L’uomo non mostrava segni di ipotermia, solo di disidratazione. 

Il corpo di Friohorsson, si scoprì poi, era simile a quello di una foca. In seguito, i ricercatori avrebbero stabilito che a isolarlo c'erano 14 millimetri di grasso - due o tre volte più del normale spessore presente negli esseri umani, e molto più solido. Più che una creatura terrestre, quell'uomo era un mammifero marino. A salvarlo era stata un'anomalia biologica: gli aveva permesso di rimanere al caldo, di galleggiare e di continuare a nuotare. In molti lo definivano un selkie in carne e ossa, creature per metà umane e per metà foca, appartenenti al folklore islandese e scozzese. 

A mio avviso, questo è il monito vivente che noi e il mare non siamo poi così distanti.

Forse siamo profondamente connessi, forse una struttura sotterranea ci unisce materialmente a terre lontane, e unisce queste ultime, a sua volta, in una trama fitta di parole e dati. 

da Perchè nuotiamo, Bonne Tsui, 66THAND2ND, 2023

Ciao! Questo è MATRIOSKA, un podcast di arte contemporanea prodotto da Salgemma.

Ogni matrioska ha diverse scatole, la prima è la madre quella che contiene le altre, quella più piccola, l’unica non cava, è il seme. Ispirate da questo gioco abbiamo pensato di raccontarvi di quei semi, che per noi sono opere nascoste, che germogliano in luoghi, in contenitori, appunto che le preservano, e ne danno nuova vita

Vi portiamo in giro per la Puglia, e non solo, a scoprire e riscoprire insieme: luoghi, opere e tesori, ma anche pratiche, processi e ricerche artistiche che vi invitiamo ad attraversare ed esplorare. Per ogni puntata ad accompagnarci una colonna sonora di band emergenti che selezioniamo per voi. Buon ascolto!

Entrando nella stanza, un mare di cavi grossi e neri ricopre il pavimento dello spazio espositivo. In scala 1:2000, riproducono una piccolissima parte di quella mappatura di cablaggi che occupa gli ambienti oceanici di tutto il mondo. Ma come: cavi negli oceani, direte? Sì, se è possibile parlarci al telefono o collegarci ad internet e ascoltare questo podcast, ad esempio, è possibile grazie a questa infrastruttura di un milione e quattrocentomila cavi sottomarini che collegano e trattengono la memoria della nostra vita sul web, nello specifico permette ai clouds di esistere, ai dati di circolare, agli algoritmi di lavorare.

L’opera di cui trattiamo si chiama Tails, acronimo di The Amnestic Incognito Live System, e prende il nome da un software in grado di cancellare tutte le informazioni acquisite durante la nostra navigazione sul web. L’installazione è stata esposta all’interno delle sale di Spazio Murat nel 2023 in una mostra personale a cura di Silvia Franceschini. Da dove nasce ce lo racconta direttamente l’artista: 

V.V: Con Tails ho messo in scena una delle infrastrutture materiali della rete, i cavi in fibra ottica che attraversano gli oceani di tutto il mondo. Sono sommersi e creano una sorta di geografia parallela a quella terrestre dalle dimensioni impressionanti. Ne parla il giornalista francese Guillaume Pitron in Inferno Digitale, un reportage in cui viaggia attraverso il mondo per svelare la materialità del web. Un capitolo del libro è dedicato ai cavi sottomarini e il mare è un elemento a cui sono molto legata, per questo mi ha molto colpito cogliere fino in fondo l’estensione di questa struttura. Nel 2023 la lunghezza complessiva di tutti i cavi mappati era di un milione e seicentomila i cavi, ora saranno aumentati. Mi sono chiesta e se tutti i cavi sommersi emergessero in uno spazio, cosa vedremmo?

Vedremmo una danza di cavi, che si intrecciano, si intersecano, si rincorrono. Lo Spazio Murat è stato invaso da questa danza di cavi che sono stati realizzati in cartapesta. Un materiale analogico, fatto di acqua, carta e farina. L’utilizzo della cartapesta è causale allo sviluppo dell’opera poiché anche la cartapesta ha una memoria del calco in cui si asciuga e che poi perde se messa in acqua. “e così la memoria fragile della cartapesta dialoga con la permanenza delle conversazioni, informazioni, dei dati che circolano online.”

Tails nasce proprio da questa domanda: come facciamo a dimenticare con la tecnologia? Il tasto “canc” è un’illusione, non cancelleremo mai nulla. Uno dei temi di ricerca di Valentina Vetturi è proprio quello dell’identità digitale e della digitalizzazione delle nostre vite.

L’artista che ha realizzato quest’opera è vv di cui avete ascoltato direttamente le parole rilette da me. Valentina Vetturi nasce nel 1979 a Bari. Dopo una laurea in legge, un master in Paesaggio e Architettura e uno in Digital Currencies si è formata attraverso la letteratura, la frequentazione della scena teatrale italiana e non. Come dice lei “mi interessa veramente tutto, qualsiasi disciplina”. Dopo diversi anni all’estero e una permanenza a Milano, torna a Bari ed è in questa occasione che io e Aurora l’abbiamo incontrata nella sua casa-studio tra le vie del centro. Non possiamo non notare in bella vista un libricino, di Jean Luc Nancy, dal titolo L’intruso, ed è proprio da qui che sono partita.

AC: Definisci la tua pratica artistica come se tu fossi un’intrusa…

Tutti i lavori di Valentina Vetturi hanno una lunga fase di ricerca performativa. Il primo approccio all’arte avviene con la fotografia per poi passare alla performance nella quale è lei stessa che performa. Poi, piano piano, si è sottratta a questa pratica poiché la fisicità non corrispondeva alla sua pratica artistica, come lei è o appare, è irrilevante. La fase di ricerca è diventata una performance espansa nel tempo in cui l’artista incontra, condivide e scambia pensieri con le persone che si occupano dei temi su cui poi fa ricerca in quel periodo.

“Nei miei processi di ricerca mi immergo in contesti, frequento persone che sono esperte del campo che decido di studiare. È successo nel lavoro con i direttori d'orchestra che per esempio è stato possibile anche grazie all'amicizia con il direttore Marco Angius. O ancora intorno al 2015 ho deciso prima come cittadina e poi come artista di approfondire i processi di digitalizzazione delle nostre vite e le tecnologie del web. Per questo ho iniziato a frequentare hackerspace, bitcoin meeting, scienziati del web. Una deriva che è durata per molti anni e mi ha anche portata a frequentare il Master in digital currencies.”

Quindi la sua ricerca performativa si configura come se fosse sempre un’intrusa nei vari ambiti in cui si inserisce. Ovviamente non è una mera attività estrattiva, c'è uno scambio, una reciprocità, in questi incontri. L’artista proviene da studi teorici e questo  le permette di stare nell’ambito dell’arte che diventa il mezzo per attraversare ogni altra disciplina. C’è un grado di libertà intellettuale che per l’artista è nutritivo e che le permette anche di fare incontri che durano al di là del progetto.

La ricerca diventa parte integrante dell’opera stessa poiché è intesa in senso performativo: quando l’artista interagisce con le persone, anche in modo informale, lo fa con piena consapevolezza della propria presenza e di come viene percepita dagli altri. Così tutti comprendono il motivo di quell'incontro.

AC: Se la ricerca è parte del processo artistico e in essa insito il senso del non- finito, mi chiedo: ma i tuoi lavori arrivano mai a una conclusione ?

VV: Penso di no. Spesso infatti lo stesso soggetto trova nel tempo diverse configurazioni che vengono numerate in ordine cronologico. Capita, in alcuni casi, che per un certo periodo di tempo possa perdere interesse nei confronti di un lavoro, per dedicarmi ad una nuova ricerca. È tuttavia un processo che può riaprirsi, continuare alla ricerca di nuove sintesi formali. Ogni configurazione si relaziona strettamente al contesto inteso in senso ampio per cui viene pensata e di volta in volta può essere presentata in un museo, uno spazio pubblico, una istituzione privata. La ricerca è duplice, riguarda i contenuti all’inizio e poi la forma, che considero temporanea. Se immagini la ricerca come un flusso performativo, capisci che ogni tanto si condensa in delle forme, che poi possono cambiare. 

Per esempio nel ciclo di opere “Alzheimer Cafè” legato al rapporto tra musica e memoria… 

Un momento, occorre descrivere l’opera di cui Valentina vi sta parlando: Alzheimer Café (2014/ongoing) una serie di performance, installazioni sonore e interventi pubblici iniziati da Valentina Vetturi e dedicati ai 'ricordi musicali', che resistono incredibilmente alla degenerazione neurologica causata dalla malattia, e che hanno ispirato l'intero ciclo. Tutte le opere della serie includono frammenti musicali cantati o canticchiati da persone affette da disturbi neurologici della memoria. Queste performance sono sempre diverse perché si inseriscono in ambienti diversi che ne influenzano la sintesi finale, che sia un museo o una piazza.

Insomma è scientificamente provato che uno degli ultimi ricordi che persiste anche quando la memoria viene azzerata è quello musicale oltre agli odori quindi mi sono concentrata su quella che chiamo la persistenza poetica del suono.

Ammetto che quest’opera nella sua concezione e nelle sue esecuzioni sempre diverse e sempre nuove, mi ha profondamente commosso. Com’è possibile che quando dimentichiamo tutto, la musica si radichi  in posto così al sicuro dentro di noi al punto da diventare quasi parte della nostra identità?

Che cos’è il suono? Qual è il tuo primo ricordo legato al suono?

Di recente ho scoperto che questa intuizione non è affatto sbagliata:  i suoni, infatti, sono legati alla nostra identità. Lo dimostrano, ad esempio, alcuni studi sui "coda", i segnali di riconoscimento che i capodogli si scambiano nelle profondità del mare, diversi a seconda del clan di appartenenza. Allo stesso modo, anche i musicisti, quando scelgono un accordo e non un altro, esprimono delle preferenze, e quindi, la propria idea di suono e dunque la propria identità così come dimostrano le ricerche di Shane Gero del Dipartimento di Zoofisiologia dell’Istituto di Bioscienze dell’Università di Aarhus.(orùs) Se volete approfondire questa tematica vi consiglio il podcast “Sonar” di Nicolò Porcelluzzi prodotto da “Il post”.

Ecco siamo ritornati per un attimo sott’acqua.

Parlando con Valentina Vetturi viene naturale chiedersi come è possibile avere così tanti interessi, da dove provengono questi stimoli e la voglia di approfondire, come si passa dalla cyber security alle piante? Come si attraversa la multidisciplinarietà della contemporaneità?

Valentina mi spiega innanzitutto che non crede nel concetto di ispirazione perchè esiste la ricerca fatta di studio e di lettura. Quando ti interessano tante cose viene naturale fare delle connessioni, soprattutto quando si ha uno sguardo analitico come il suo. Ciò che le interessa, come ci spiega poco dopo, è di osservare  le cose dal punto di vista del sistema e, se le guardi da questa prospettiva è facile riconoscere delle connessioni tra cose che apparentemente non ne hanno. Nel suo lavoro con la tecnologia, si è interrogata su due direttrici principali: la prima esplora lo spazio tra il dimenticare e il ricordare; la seconda, riguarda il funzionamento  dei  sistemi, che può essere il cervello,  l’intelligenza artificiale o come si è riconosciuto, l’intelligenza delle piante.

Ad un certo punto ci è sembrato tutto chiaro, estremamente ed intimamente connesso, forse gli artisti fanno questo: ti svelano il segreto che sottende tutte le cose del mondo, ci aiutano a guardare meglio chi siamo, a scorgere quella trama sottile di senso, a capire chi siamo.

Così, guardando le opere di Valentina Vetturi, ci accorgiamo che ogni opera parla alla successiva, come un approdo naturale di una ricerca continua che è il modo di stare al mondo dell’artista.

Il tema del ricordare e del dimenticare, dell’invisibile, dell’identità e della privacy mi hanno ricondotto a quelli che sono i temi che definiscono la storia critica della fotografia. Condivido questo pensiero con Valentina che mi dice che non ci aveva mai pensato e che forse può essere che sia così, d’altronde è da quel linguaggio che ha cominciato, quando era piccola, racconta, si è costruita una camera oscura in cameretta.

Ecco tutto torna, le dico.

A.C: Quando incontro gli artisti mi chiedo sempre perchè fanno quello che fanno, cosa li spinge ma anche come tutto comincia, qual è il punto zero della creazione? Valentina Vetturi ci spiega che per lei tutto parte dalle parole, da descrizioni precise che definisce partiture: 

VV: Il mio lavoro parte dalla scrittura di testi che chiamo partiture. Il riferimento alla musica deriva dal mio interesse per il suono, un elemento molto presente nel mio lavoro. Come in una partitura musicale, anche nella mia pratica l’idea iniziale viene poi interpretata dal gruppo di persone con cui lavoro. Il mio ruolo così potrebbe essere assimilabile a quello di una regista, di una compositrice. 

AC: E infatti dicevi che non ti piace parlare di installazioni, ma di paesaggi performativi il che mi riconduce a quello che dicevi perchè creare un paesaggio significa creare una realtà, comporre un paesaggio.

VV: Sì, mi interessa lavorare sullo spazio, più che su un oggetto nello spazio mi interessa lo spazio tra gli elementi che compongono un lavoro. Da qualche anno ho iniziato a definire le mie opere come “paesaggi performativi”. Se dovessi sintetizzare in una frase il mio lavoro direi che lavoro sul rapporto tra performance e scrittura attraverso diversi media. 

Un altro tema che ha indagato l’artista è quello legato alla Cyber Security. L’approccio è estremamente analitico e con focus sui diritti, uno su tutti, quello all’identità digitale. Al momento scienziati e informatici stanno  lavorando  per creare una forma di identità digitale decentralizzata dove l'utente è al centro e può decidere quali dati condividere e quali no.  Questo è molto diverso dalla situazione attuale, in cui l'uso delle piattaforme ci obbliga a cedere ogni tipo di dato senza possibilità di scelta, un aspetto che potrebbe sembrare irrilevante, ma non lo è affatto.  Valentina cita l’autobiografia di Eric Snowden “Permanent Record”  - in cui spiega, in un modo essenziale, come non c’è stato un momento della storia dell’umanità in cui qualcuno ha posseduto il livello di informazioni che, sia privati che pubblici, neanche con il KGB,  neanche lo spionaggio ha mai permesso di avere, tanto quanto lo abbiamo oggi. Un numero di informazioni così alto e pregnante che avviene attraverso un censimento continuo fatto dai nostri cellulari. 

Il nostro incontro è proseguito ma come avrete intuito, il mondo di Valentina Vetturi è vastissimo. Se questo episodio vi ha incuriosito e volete approfondire lavori e pratiche, date un'occhiata al sito personale e ai canali social dell’artista, trovate tutti i link in bio.

Siamo alla fine e l’ultima domanda abbiamo deciso di farla porre a chat gpt:

AC: Un consiglio da dare ad un* giovane artist*?

VV: Consiglio di “avere fame”, per far diventare questa pratica la tua vita bisogna avere proprio tanta fame, perché non è necessariamente facile. Consiglio di coltivare un grande desiderio e di non prendersi troppo sul serio.

I contributi musicali che avete ascoltato durante la puntata sono a firma di “Canti Magnetici” un’etichetta discografica nata dall’idea di Donato Epiro, Andrea Penso e Gaspare Sammartano impegnata a mescolare musica e arti visive. Basati in Puglia i tre artisti sperimentano musica elettronica che, di volta in volta, dialoga con l’ambiente, la natura e con la danza, dando vita a collaborazioni che si concretizzano in musicassette. Vi consigliamo di esplorare questo mondo in cui, come dicono loro,  “il suono viene utilizzato come strumento per indagare fenomeni naturali, culturali, spirituali.”

Buon ascolto!

Se vi è piaciuta questa puntata condividetela sui vostri canali, non dimenticatevi di seguirci su Spotify e lasciarci una recensione, per noi significa molto!

A presto con una nuova Matrioska!

Nella nostra Matrioska abbiamo trovato un’opera, uno spazio e una band, mica male oh, ci vediamo alla prossima puntata con una nuova matrioska da aprire e altri semi da far germogliare.

Avete ascoltato Matrioska - Arte in semi,  un podcast di Salgemma a cura di Alessandra Costantiello e Aurora Lacirignola.

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Link utili:

https://www.valentinavetturi.com/

https://www.instagram.com/valentinavetturi

https://cantimagnetici.bandcamp.com

https://www.ilpost.it/podcasts/sonar

MATRIOSKA è il podcast di Salgemma a cura di Alessandra Costantiello e Aurora Lacirignola che ogni mese vi porta in giro a scoprire luoghi, opere e pratiche artistiche che compongono il panorama dell'arte contemporanea. Immagina un museo diffuso da esplorare: ogni episodio è una matrioska! La prima, la più grande, è la madre che contiene tutte le altre. La più piccola, l'unica non cava, rappresenta il seme. Ci siamo ispirate a questo gioco per aprire queste 'scatole' e raccontarti di quei semi, che per noi germogliano in luoghi o contenitori che le preservano, dando loro sempre nuova vita.
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