L’ora è confusa e noi, come perduti, la viviamo. Sull’immaginazione intermediale con Giovanfrancesco Giannini | in-corpora #01
di Francesca Schinzani
in–corpora / critical studies e pratiche performative - è una rubrica miscellanea, uno spazio collettivo in cui, a partire da un riferimento teorico, l3 artist3 invitat3 condividono risposte intime, soggettive, e decisamente parziali.
Ipotesi.
Il corpo è il soggetto primario a cui le arti performative affidano la propria rappresentazione.
Deduzione.
La necessità contingente di agire attraverso le arti performative elementi di realtà deve considerare come strategia primaria l’incorporazione di elementi di realtà nella performance. Sebbene l’evanescenza delle pratiche possa suggerire il contrario, le arti performative e gli archivi hanno un substrato comune: si tratta di dispositivi che, con il pretesto di archiviare o incorporare la realtà, generano riletture autonome.
Secondo gli storici occidentali la danza contemporanea, che per tutto il XX secolo si è concentrata su una sperimentazione concettuale auto-riflessiva, negli ultimi dieci anni ha sviluppato un relazione con le realtà extra-coreografiche seguendo due strategie parallele:
- adottare elementi documentari (testi, fotografie o video) come fonti di ispirazione del processo artistico e come riferimenti teorici che avvalorano la ricerca;
- ospitare sulla scena e offrire un corpo a eventi storici e sociali, generalmente violenti, al fine di esperire un conoscenza cinestetica posizionata.
Adottando una definizione suggerita dall’artista bielorusso Arkadi Zaides, le pratiche che condividono rappresentazioni fattuali della realtà possono essere definite Documentary Choreography. Appartiene a questa categoria CLOUD di Giovanfrancesco Giannini (Napoli, 1990), un progetto coreografico che si immerge nell’universo visuale del capitalismo delle piattaforme e produce una testimonianza umana della pervasività digitale.

[Mi ha sempre affascinato la possibilità di una memoria che possa esistere al di fuori del corpo. Una stratificazione di frammenti, immagini mediali, video, audio che immagazziniamo e conserviamo. Creare con questa memoria dei percorsi di significazione per poi rielaborarli e restituirli attraverso il gesto. Il montaggio di flussi di immagini e video digitali è un gioco di creatività del linguaggio.]
Lo schermo è ipertrofico, sovraffollato, traboccante. La finestra del browser è talmente bersagliata di codice che crasha inesorabilmente - ha scritto Valentina Tanni in un articolo di qualche anno fa. L’indagine di Giannini non riguarda un’immagine precisa (lo schermo alle spalle del performer, da cui il performer riprende la gestualità dei corpi proietta figure iconiche della storia dell’arte moderna poi foto di guerra che circolano sul web poi Dalida in una delle più celebri performance canore, e così via) ma interpreta il meccanismo dell’accumulazione mediatica dei corpi. Così la performance diventa rivendicazione politica e messa in discussione critica del mondo in cui viviamo.
[CLOUD è un lavoro nato dalla profonda necessità di testimoniare con il corpo e la danza che la lotta contro i soprusi, le discriminazioni e la violenza è qui ed ora. Attraverso l’arte e la coreografia cerco di dare voce a ciò che credo non debba essere dimenticato. Il mio corpo diventa medium e si fa eco di un grido di battaglia, con la speranza di essere riconosciuto, ascoltato e compreso.]

Le immagini esercitano un potere, scrive Pietro Montani in L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile (Editori Laterza, 2010). Oltre a esercitare un potere, le immagini pongono delle richieste: in questo senso le immagini non rappresentano tanto una testimonianza quanto una domanda sulle condizioni di testimoniabilità. Il fatto che nel replicare sulla scena i corpi proiettati bidimensionalmente alle sue spalle il performer applichi alcune variazioni intime, estetiche e concettuali rende manifesto quello che Montani definisce come processo di autenticazione. In altre parole, se il dispositivo tecnico garantisce la veridicità dell’immagine che riproduce un segmento del reale, l’interazione e la decodifica che il soggetto umano compie aggiunge un potenziale di contraffazione al dispositivo oggettivo, da qui la necessaria prova di autenticazione.
[Le immagini sono come i fantasmi visibili del nostro presente, ci attraversano. Oggi sono anche sempre di più artefatti. Nel perdere il loro valore di testimoniabilità questionano il reale, diventandone solo indizio. Cercando di incorporarle live immagino come se le forme da una loro dimensione altra possano trasmigrare nel corpo e questo diventa un modo per me per provare a veicolare un significato diverso da quello originario e immediato. Con il mio corpo le interrogo e ne restituisco le molteplici possibilità di comprensione e lettura. La relazione tra l’immagine, il mio corpo e lo sguardo del pubblico è come se attivasse un moto di immaginazione, un’attenzione a rifigurare.]
Veicolare significati soggettivi significa opporsi all’archiviazione anestetica delle immagini, offrendo loro una memoria derivata. «Rimemorazione» è una parola ambigua, scrive ancora Montani. Il primo motivo di ambiguità riguarda la sua natura etimologica: come si applica la particella che definisce la ricorrenza a una parola che si emancipa dall’idea di atto concluso?
Sfruttando l’assonanza lessicale, la pratica di rimemorazione si connette a quella di rimediazione. CLOUD esperisce la rimemorazione individuando una serie di accostamenti inediti tra le immagini e la rimediazione replicando con un corpo estraneo le stesse immagini.
[Praticare la resistenza attraverso le forme d’arte implica un continuo assemblare, smantellare e poi ricominciare. Ho scelto di pormi delle domande e di farlo con la danza, con il gesto effimero, perché la danza è libera dalla sua riproducibilità ed esiste solo nell’istante in cui accade e nella condivisione con l’altro. Le performing arts aprono ad uno spazio poiètico che richiama subito un'attivazione non soltanto del performer, ma generativa in chi guarda.]
Costringendo il pubblico a un’osservazione prolungata che si manifesta attraverso i segni della fatica che durante la performance appaiono sul corpo di Giannini, CLOUD relega chi osserva a una condizione di immobilità fisica. Dunque, la co-partecipazione si attua ad un piano più intimo: citando Jacques Rancière, ogni soggetto coinvolto risponde agli stimoli generati dalle immagini in base alla propria storia, alla propria posizione (già indicatore di un posizionamento). Rispettando lo spazio fisico di separazione tra palco e platea, ogni spettatore ha le capacità intellettuali per incorporare e tradurre una narrazione. Dunque, la testimonianza coreografica di Giannini, per la sua natura documentaria, interpreta la spettatorialità come forma di partecipazione. Guardare non è mai stato un atto innocente: per questo motivo l’unica possibilità è attivare lo sguardo per generare pratiche di dissenso e resistenza.
[Credo che la mia esigenza di creare nasca dalla volontà di resistere al potere e dalla necessità di veicolare un messaggio: la danza e la coreografia come atto politico di resistenza. “L’ora è confusa e noi, come perduti, la viviamo”, Pier Paolo Pasolini].



Credits
un progetto di Giovanfrancesco Giannini
disegno luci Valeria Foti
ricerca e curatela Gianmaria Borzillo, Denis De Rosa, Giovanfrancesco Giannini, Antonia Treccagnoli
una produzione Körper
in coproduzione con Ariella Vidach - AiEP, Santarcangelo Festival
con il sostegno di AMAT nell’ambito di “Marche casa del teatro. Residenze d’artista” promosso da Amat, Comune di Pesaro, Regione Marche, La Briqueterie/Theatre de Vanves.
intervista ed editing di Francesca Schinzani