FATAITÀ Melania Fusco
La parola veneziana fataità si presta a significati e interpretazioni di varia natura. Viene spesso pronunciata per stigmatizzare un evento che non conosce spiegazione pratica o logica ed è formulata a conclusione di un pensiero per suggerire un generale spirito di accettazione nei confronti di disgrazie più o meno importanti.
Forse per fataità, la mostra di Melania Fusco trae ispirazione da un poemetto erotico satirico di Pietro Buratti (1819) intitolato Elefanteide, esso narra le vicende di un elefante scappato da un baraccone durante le giornate del carnevale di Venezia. Il poeta veneziano descrive satiricamente la fuga dell’animale tra le calli cittadine e arricchisce la narrazione di pittoreschi e lussuriosi dettagli; prima di raccontarne la tragica morte, per esempio, l’autore ipotizza addirittura che il pachiderma fosse imbestialito poiché privato di esercitare pubblicamente l’autoerotismo.
Non è la prima volta che Melania Fusco esplora il valore simbolico dell’elefante nella cultura popolare.
Nonostante ella altre volte si sia concentrata sulla risaputa capacità mnestica e sull’abilità di immagazzinare emozioni o stati d’animo, per Spazio Su lo immagina impegnato in un lungo viaggio da Venezia a Lecce.
Nello spazio espositivo l’artista rappresenta l’immagine teriomorfa di un ibrido donna-elefante; una creatura ancestrale che allude alla mostruosità femminile. Accentuata dall’intensità selvaggia del gesto espressivo, la misteriosa figura domina un campo da gioco composto da sessantaquattro mattonelle che – come sessantaquattro quadranti di una scacchiera – fungono da basamento per due pedine “proboscidali” esempio di una sessualità ambigua. Che si tratti di un harem, un freak show o lo studio stesso dell’artista, Fataità presenta un ambiente incantato in cui la mostruosità viene sublimata.
Da anni, la ricerca artistica di Melania Fusco si appropria di un immaginario ludico fatto di ricordi, sensazioni, odori, colori, ma anche della carica simbolica che la stessa idea di gioco rappresenta.
Sgargianti e vivaci nella loro resa estetica, le opere dell’artista concepiscono l’errore e l’imperfezione come metodologie artistiche da valorizzare; ne trasformano l’esperienza in gesti apparentemente semplici, azioni partecipative, installazioni o oggetti sedimentati nella memoria comune per cogliere il confine labile tra la presentazione delle emozioni umane e la loro fragilità.
Testo a cura di Claudio Piscopo
La mostra è stata realizzata con il supporto curatoriale di Claudio Piscopo e il prezioso contributo tecnico-artistico di Giulio Polloniato.