Cenere e Bouquet eterno (Magra e luttuosa)| Lucia Leuci
«Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli avea tratta ancora la conocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila…»
Dante, Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27
La Quarantana appartiene alla tradizione popolare del Sud Italia, poi cristianizzata, e ostenta elementi simbolici che caratterizzano il trascorrere del tempo, la dedizione al lavoro e alle regole imposte da una religione di cui fa parte. Il suo nome, probabilmente, deriva dal francese “Carême”, Quaresima, sinonimo di tristezza, meditazione e preghiera.
Viene esposta fuori dall’uscio o appesa ad una finestra o ad un filo posto da un lato all’altro della strada il Mercoledì delle Ceneri quando, per i credenti cattolici, inizia l’astinenza e il digiuno: lì, resterà appesa per sette settimane.
La traccia della sua presenza ci conforta, rendendoci saldi in tradizioni antiche, ma il suo ondeggiare libero e sospeso ci proietta in un futuro trasformativo dove tutto diventa fluido e senza radici, dove il mito lascia posto al superfluo, dove l’epifania dell’età sconvolge e respinge il quadrante del tempo.
«Con troppe lacrime piangi Maria
Solo l'immagine d'agonia
Sai che alla vita nel terzo giorno
Il figlio tuo farà ritorno»
Fabrizio De Andrè, Tre Madri
«Sono infelice di professione
Sogno che sono morto, il mio corpo in strada, la processione
[…]
Uccidimi e fammi risorgere come con Lazzaro
Dammi tutto allo stato puro
Di più di un vestito scuro
Di un roseo futuro»
Guè feat. Marracash, Brivido
Il periodo della quaresima è anche il contemporaneo, scandito da riti e dai ritmi, da simbolismi nuovi e nuove vestizioni.
Lei, la mia “Ceneri” sfida le leggi del tempo, non più meridiana, ma neanche Rollie. A ritroso si reinventa dando voce a ciò che è stata e a ciò che è adesso: una giovane donna “in potenza” e senza età, un’Araba Fenice in continua evoluzione.
II suo volto è incorniciato da una chioma superba e la sua espressione è afflitta proprio come quella della Madonna Addolorata. In un parallelo evidente, dal viso di entrambe traspare dolore: uno, manifestato da sette dolori/pugnali che le trafiggono il cuore e l’altro, da sette piume che infilzate in un’arancia rappresentano l’inesorabile passare del tempo.
Il fuso, usato anche da Cloto, una delle tre Parche greche, simboleggia il filare del destino degli uomini e ricorda anche il duro lavoro femminile che a volte dà e a volte toglie dignità.
«Il tempo vola
Non ci pensare
La vita è una sola per ogni persona
[...]
Il mio orologio è fermo, niente tic tac
Fammi prendere una pausa, ci sta
Là fuori vedi quanta gente va di fretta
E se arrivi in ritardo nessuno ti aspetta»
Fabri Fibra, Il tempo vola
«E oggi non mi perderò, oh
Perché no, non ho più tempo
(L'importante)» Marracash, Importante
La coda di un pesce ricorda un altro simbolo appartenente a questa tradizione, il pesce stesso, che rappresenta l'astinenza, da osservare obbligatoriamente durante il Carnevale (es. Carnem Levare, letteralmente togliere la carne). Nella coda sono incorporate bacchette di quarzo ialino che hanno il potere di depurare carni e anime. Oggi l’inganno è credere che serva solo un purificatore d’aria - magari anche aromatizzato - a creare benessere ed equilibri cosmici.
Lei, magra e luttuosa, vive la strada; è una rapper che dal suo palco recca punchline, entra feroce nella modernità dove le narrazioni, inaspettatamente, si intrecciano, dove nei non-luoghi si ammassano incertezze. Il bisogno e la ricerca di umana verità, però, restano forti e imperituri.
Penso a mio nonno, alla sua urgenza di conoscenza e di libertà e a quando, non ancora maggiorenne, arrivò a Milano in cerca di una vita migliore. Mi chiedo quali furono i luoghi da lui vissuti. Sempre alla ricerca dell’essenziale e della bellezza nelle cose semplici, chissà cosa avrà mai pensato quando vide per la prima volta le vetrate Liberty, così decorative, con i loro disegni così complessi.
Lasciava un piccolo paese della Puglia, dove la vita era scandita da ore di sudore nei campi, rabbia e ingiustizie, ma anche da tradizioni cattoliche che a lui, però, sembravano riti inutili.
In questa grande città ci si perde, non sei figlio di nessuno, ma nei suoi occhi, mio nonno, aveva racchiuso il sacro dei suoi avi.
Nella mia opera la figura della Quarantana, triste e smagrita, è proprio come lui: entrambi portano i segni di una laboriosità milanese che unisce, con un filo, i bisogni e le necessità di questi uomini che cercavano un nuovo mondo fatto di onestà, giustizia e riscatto sociale.
*documentazione fotografica completa e versione del testo in inglese a cura di Sara Barsotti su O Fluxo