Oltre la lettura dell'articolo, ascolta la conversazione con Giulia Colletti di Giuseppe Amedeo Arnesano per la rubrica di AUDITORIUM, un archivio sonoro e testuale che indaga l’incontro delle pratiche curatoriali con le dinamiche interdisciplinari della società contemporanea. Spazio simbolico di incontro e confronto che accoglie una pluralità di pensieri, parole, voci e azioni. AUDITORIUM è una rubrica a cura di Giuseppe Arnesano per il magazine di Salgemma.

Introduzione di AUDITORIUM #2
Conversazione di Giuseppe Amedeo Arnesano con Giulia Colletti

Supporto tecnico- audio: Federico Primavera

Quali sono stati gli incontri, le opportunità e gli insegnanti più grandi nel tuo percorso?


Federico Campagna è attualmente un esperto ed empatico compagno di ricerca. Condivido con lui alcune considerazioni sui luoghi – fisici e immaginifici – ai quali apparteniamo. Federico sta svolgendo una residenza presso il Castello di Rivoli che si coagula in una serie di podcast con cadenza mensile in cui approfondisce il tema della ‘immaginazione creatrice’ Mediterranea dall’antichità ai giorni nostri – con particolare attenzione al periodo tra la Tarda Antichità e l’inizio della Modernità. La sua ricerca si concentra sulle soluzioni immaginifiche prodotte dai popoli Mediterranei – per lui geograficamente situatati in una fascia di terra che va dalla Valle dell’Indo alle coste Atlantiche dell’Europa – durante alcuni dei momenti più drammatici nella storia.

Grazie ai volumi custoditi nella biblioteca della Villa Cerruti e alla possibilità di studiare da vicino i dipinti della Collezione, Federico sta analizzando l’uso congiunto di filosofia, letteratura, teologia, arte visiva e cosmologia da parte di quei soggetti Mediterranei che si sono trovati ad affrontare una “fine del mondo” – ovvero, la fine di un certo modo di intendere la realtà a seguito del crollo di una civiltà. Secondo Federico, in tali momenti di crisi i popoli Mediterranei hanno spesso reagito con una “migrazione di massa” al di fuori del regno della Storia, verso altri-mondi immaginari, esterni allo spazio e al tempo. I risultati della ricerca entreranno a fare parte del suo prossimo libro, provvisoriamente intitolato Il Mare Tra Le Terre: una storia dell’immaginazione Mediterranea.

4. Giulia Colletti e Ross Little, Note su Resistenza e Immaginazione Politica, 2018
Giulia Colletti e Ross Little - Note su Resistenza e Immaginazione Politica, 2018 - courtesy Giulia Colletti

Parliamo di pratica curatoriale. Attraverso quali letture, argomenti, artisti e suggestioni hai
avviato la tua ricerca?


Lo “strano” testo di Michel Serres Le Parasite, 1980, continua tutt’oggi a influenzare la mia logica curatoriale. Un testo che, come afferma Pelgreffi, è costruito sulla necessità di moltiplicare figure e metafore, attraverso una scrittura che ibrida letteratura, scienza e filosofia. La radicalità del parassitismo si incentra sulla convinzione che gruppi minoritari – agenti umani e non umani – possano diventare i principali attori nella riconfigurazione delle interazioni cui siamo abituati. Il parassita opera attraverso la logica del prendere senza dare. Tuttavia, quest’ultimo rende possibili forme di scambio asimmetriche, producendo connessioni tra ordini di vita apparentemente diseguali.

Il parassita è quindi un vettore epistemologico funzionale al ripensamento della condizione normativa di intersoggettività, basata su genere, status sociale e/o specie. Dalla nozione di natureculture celebrata da Donna Haraway agli Undercommons teorizzati da Fred Moten e Stefano Harney, la disposizione di “infiltrazione parassitaria” è una forma elementare di relazione. Attualmente la sto approfondendo nella ricerca preparatoria al programma pubblico Clima PTSD, che affronterà in una serie di conversazioni con ospiti nazionali e internazionali le conseguenze traumatiche e psicosomatiche della crisi ecologica sul nostro essere e sul corpo sociale. 

Ross Little, The Heavy of Your Body Parts and The Cool Air of the Air Condition, 2017, installation view at Frontera 115, Mexico
Ross Little - The Heavy of Your Body Parts and The Cool Air of the Air Condition, 2017, installation view, Frontera 115, Mexico - courtesy the artist

Quale mostra, padiglione o spazio indipendente ti è piaciuto?


La posizione palinsestica assunta da Zineb Sedira in Les rêves n’ont pas de titre, installazione presentata nel contesto del Padiglione francese (algero mi verrebbe da aggiungere) mi ha profondamente stimolata. Non nego l’indisposizione iniziale nel dover affrontare minuti di coda, alleggeriti comunque dalla presenza di tante colleghe ritrovate in fila. Tuttavia, mi ritengo fortunata nell’aver avuto occasione di fruire di un progetto in cui ogni singola stratificazione critica e artistica è stata mirabilmente ricercata, affrontata ed eseguita.  L’artista si è appropriata delle tecniche di montaggio, messa in scena e re-make per realizzare un’intima testimonianza della liminalità della sua esistenza declinatasi tra Europa e Mediterraneo, omaggiando allo stesso tempo l’avanguardia cinematografica degli anni ’60 e ’70 italo-algerina. Mi riferisco in particolar modo ai riferimenti più o meno velati al documentario Les Mains libres, 1964, di Ennio Lorenzini.
 

Dopo la pandemia in che condizioni abbiamo ritrovato il sistema dell’arte?


Le dirette conseguenze dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19 che si è abbattuta nel mondo a partire dal febbraio 2020 sono evidenti. Nell’ultimo biennio abbiamo assistito alla diminuzione delle attività espositive, del pubblico in presenza – argomento affrontato con Leonardo Caffo, con il quale stiamo attualmente lavorando alla pubblicazione cartacea del suo podcast La scomparsa del pubblico, realizzato nel 2021 – e dei contributi.

D’altro canto, ho sperimentato in prima persona la crescita delle attività digitali e del pubblico online che si è dimostrato estremamente reattivo alla programmazione del Cosmo Digitale, progetto che curo dal 2020. Seppure non registro una significativa ripresa in termini di fondi e supporti alle attività culturali in Italia, noto una rinvigorita attitudine verso il ritrovo corporale, le aggregazioni e lo Spritz Aperol.
 

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Lu Pingyan - The Future That Didn't Arrive, 2017 - courtesy Giulia Colletti

Quali sono le mostre più significative che hai visto negli ultimi anni?


La mostra collettiva Cosmic Mothers presso Mimosa House, spazio indipendente fondato a Londra da Daria Khan. Il titolo della mostra è ispirato all’omonimo dipinto del 1970 dell’artista Galina Konopatskaya, in cui la “Madre Cosmica” appare come un’entità androgina che tiene in braccio un bambino. Sia la madre sia il bambino indossano tute da astronauta e fluttuano nello spazio. La composizione echeggia le icone cristiano-ortodosse della Madonna con il Bambino che si trovano nelle chiese, ma invece del tradizionale alone dorato che circonda la testa della Madonna, la Madre Cosmica fluttua davanti al pianeta Terra.

L’opera appartiene alla tradizione del realismo socialista, uno stile artistico di cui l’Unione Sovietica si serviva per diffondere la propaganda comunista e i valori atei nella sua società. Il dipinto di Konopatskaya suggerisce piuttosto che la Madonna possa essere sostituita con un’immagine atea di una donna astronauta. La sua figura allude alla prima donna nello spazio – Valentina Tereshkova nel 1963 – e alla supremazia della scienza e della tecnologia sulla religione. Questa immagine funge da invito agli artisti coinvolti immaginare un’altra storia dell’arte e superare le costrizioni/imposizioni normative per sperimentare nuove cosmologie. Notevole in questo senso l’esempio di Janina Kraupe- Świderska.


 
Chi sono gli artisti emergenti da tenere sott’occhio?


Senza dubbio Yesmine Ben Khelil. La sua ricerca si incentra sulle forme di rappresentazione contemporanea e i suoi personaggi emanano masse informi e colorate, quasi fossero una sorta di estensione onirica. Servendosi di disegni, video e opere multimediali – che prendono spunto da immagini d’archivio analogiche e digitali – Yesmine tenta di far luce sul contesto tunisino, trasponendo passato, presente e futuro coloniale in una “terra di mezzo” tra realtà e finzione. Le sue opere sono un montaggio poetico ma allo stesso tempo un groviglio di immagini sardoniche sulle esperienze traumatiche della storia del suo Paese.

Giulia Colletti, photo Guido Stazzoni
Giulia Colletti - Ritratto - photo Guido Stazzoni
testo di 
Giuseppe Amedeo Arnesano

Giulia Colletti è storica dell'arte e curatrice. È responsabile del Public Programs e di Digital Sphere del Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea e docente del Master Curatorial Practice and Contemporary Philosophy of the Mediterranean presso l'Abadir Academy. È stata premiata da Forbes Under 30 Europe 2021 ed è fellow del Saas-Fee Institute of Art (New York), dell'Independent Curators International iCI (Città del Capo) e del Curators Lab (12a Biennale di Shanghai). Ha tenuto conferenze presso università e istituti tra cui Columbia University (CAMS), NYC; La Sapienza, Roma; Gallerie d'Italia Academy, Milano; IUAV, Venezia; NABA, Milano; Tec de Monterrey, Città del Messico; University of Glasgow; tra gli altri. Nel 2019 è stata Visiting Lecturer presso la Glasgow School of Art e nel 2019 è stata nominata come Curatorial Fellow presso la Glasgow School of Art. Le sue recensioni, i suoi saggi e i suoi scritti sono stati pubblicati da Flash Art, OnCurating e e-flux, tra gli altri. Attualmente è responsabile dei progetti speciali sui nuovi media per CURA.
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