Salgemma in conversazione con VOGA nuovo project space con sede a Bari, progetto ideato e curato da Bianca Buccioli, Nicola Guastamacchia e Flavia Tritto. In direzione verso Bari, imboccata la strada statale 16 e via verso l’uscita 11 Bari-Picone, percorriamo il grande Ponte Adriatico e tra le diverse palazzine del quartiere – in via Curzio dei Mille – raggiungiamo gli spazi di VOGA. Ad aprirci gli ideatori, che ci accolgono con un caffè in un cortiletto attrezzato di doccia esterna, piante, ospiti di passaggio, gente affacciata alle palazzine sovrastanti il cortile, un cane di guardia sul balcone e qualche opera in fase di studio.
Come nasce il progetto di VOGA?
Flavia: Il nome VOGA proviene dall’azione del “vogare“, riferendosi in particolare al fatto di realizzare uno sforzo comune, un movimento coordinato per andare avanti. VOGA è comunemente anche un’esortazione, VOGA!, esortazione che ci siamo detti come gruppo e che vorremmo estendere al nostro pubblico, invitandolo a scivolare con noi sull’acqua, anche un po’ alla cieca, come il vogatore nel canottaggio che dà le spalle alla direzione di marcia, pur andando avanti.
Il nostro nome evidenzia un legame fondamentale con il mare, dovuto alla posizione geografica di Bari e alla sua relazione vitale con il mare Mediterraneo. Questi sono stati elementi cardine per definire quella che sarà la linea programmatica e curatoriale del nostro progetto, che guarderà al Mediterraneo non in senso prettamente geografico, bensì come state of mind, come luogo d’incontro tra culture diverse che condividono un sostrato comune e fertile.
Bianca: In fin dei conti, orientare lo sguardo sul Mediterraneo significa coltivare uno sguardo delocalizzato rispetto alle traiettorie usuali dell’arte contemporanea in Europa. Ovviamente è tutta una questione di prospettive: ogni luogo può essere Nord e Sud a seconda del punto di osservazione e rispetto a ciò che lo circonda.
In questo momento provare a guardare verso Sud, per noi significa rivolgere l’attenzione a noi stessi e allo stesso tempo inserirci in un discorso critico esistente e molto stimolante – che coinvolge artisti, curatori, ricercatori, collettivi multidisciplinari – circa la costruzione di un nuovo immaginario mediterraneo. Il Mediterraneo in fondo è sì una frontiera, una barriera, “una prova da superare continuamente”- come scrive Franco Cassano – ma è anche e soprattutto, a partire dal suo paesaggio fisico, un punto di incrocio e fusione tra Asia, Africa e Europa.
Nicola: L’idea di costruire una rete di connessioni mediterranee è stata forza motrice nell’immaginare il nostro primo progetto, che avrà luogo a partire da agosto. Il progetto ha preso le mosse dalla voglia di fare rete con realtà focalizzate sull’arte contemporanea nell’area mediterranea, per proporci loro come interlocutori di un dialogo che parte da qui, dalla Puglia e da Bari. Progetti come BAR project (Beirut, Libano), Jiser (Spagna, Tunisia e Algeria), Harabel project space (Tirana, Albania), PET project (Atene, Grecia), Le Cube (Rabat, Marocco) hanno positivamente risposto al nostro invito.
Grazie alla loro collaborazione abbiamo selezionato gli artisti che parteciperanno a una mostra collettiva nello spazio pubblico, dal titolo MINIMUM STANDARDS, che sarà occasione per riflettere sul rapporto tra individuo e spazio pubblico, sulle politiche dello spazio pubblico, sulle disparità e limiti che vi sono connessi, sulle varie prospettive che si sono aperte con la pandemia stessa; il tutto nell’ottica di restituire una visione multicentrica, che non parli solo di Bari, ma che parta dalle esperienze di questi artisti e dei luoghi di cui parlano.
Flavia: Ci interessa richiamare l’idea della piazza come luogo di incontro e di confronto, e vogliamo prendere questa occasione per far dialogare gli artisti e le loro visioni dello spazio pubblico nello spazio pubblico stesso. L’idea della piazza come luogo di incontro – piazza Mercantile o del Ferrarese a Bari che sono luoghi d’arrivo dal mare ma anche dall’entroterra – diventa fondamentale per un progetto che intende riflettere sulla questione dell’accessibilità degli spazi nelle nostre città.
La contingenza pandemica ci ha permesso di immaginare un progetto che portasse l’arte fuori dalle istituzioni ad essa dedicate, negli spazi pubblici, creando così un rimando anche all’accessibilità dei luoghi della cultura, che non sono ugualmente fruibili da tutti i cittadini a causa di sbarramenti sociali e culturali troppo spesso ignorati.
Chi compone il board curatoriale di VOGA?
Nicola: VOGA nasce da due giovani artisti e una curatrice, che hanno lasciato la Puglia diversi anni fa per ragione di studio, ma anche per mancanza di opportunità e di un network locale dell’arte, mossi dalla volontà di fare esperienze diverse anche in senso comunitario. Il ritorno a Bari ha significato il concretizzarsi di un’esigenza per tutti e tre, cioè quella di creare un luogo accessibile e di aggregazione per colmare un vuoto percepito da anni in città, dove di fatto manca uno spazio/progetto con questo tipo di vocazione.
Vorremmo da settembre in poi partire con un programma di mostre, dando spazio ad artisti giovani, artisti che operano sul territorio o che vogliano cimentarsi con il contesto pugliese, tenendo sempre un occhio dialogico verso il un panorama internazionale. Dall’inizio, ci è stato subito chiaro, infatti, che il nostro obiettivo è tanto creare una piattaforma per l’arte contemporanea a livello locale, quanto costruire una rete di relazioni e alleanze trasversali che ruotino attorno all’esigenza e al desiderio di re-immaginare il Mediterraneo.
Bianca: In questa cornice concettuale, ci piacerebbe che Bari diventasse un polo di incontro tra rotte che collegano luoghi tanto diversi, ma che condividono certe urgenze, certi temi rilevanti rispetto al presente che viviamo. Rispetto alla città stessa, il nostro spazio vuole essere dunque un punto di raccordo, un approdo sicuro per artisti, curatori e ricercatori. Stiamo immaginando, dunque, tanto un programma di mostre ed eventi espositivi, quanto un formato di residenza che non sia necessariamente orientato alla produzione di un’opera, bensì che funzioni come momento dialogico, un’occasione per aprire la propria ricerca a prescindere dal percorso di formalizzazione di un lavoro.
Flavia: Ci piacerebbe infatti recuperare la dimensione dell’incontro in chiave collettiva, attraverso l’organizzazione di talk, tavole rotonde, eventi partecipativi, sempre nell’ottica di provare a costruire una audience ampia e variegata. Il nostro è un invito – a partire dai nostri amici e dai ragazzi che studiano, lavorano e costruiscono la loro vita a Bari – a guardare l’arte contemporanea come uno strumento possibile del fare comunità qui.
Nicola: VOGA vuole essere un luogo di confronto e di aggregazione che segue una tipologia di spazi molto frequente in altri luoghi in cui nasce in maniera più spontanea (come project space o artist run space), ma che qui risulta nuovo o inconsueto. Ad esempio oggi è qui con noi – a lavoro – Elvira de Serio giovane laureata all’Accademia di Belle Arti di Roma in Moda che sta cucendo i costumi della prossima performance di Flavia Tritto. Ci interessa, insomma, creare un luogo sia percepito accogliente e che possa intercettare vari indirizzi di ricerca e pratiche, in modo tale da creare occasioni di collaborazione collettiva.
A cosa state lavorando attualmente, nelle vostre pratiche e ricerche individuali?
Nicola: Io sto attualmente lavorando al progetto selezionato per Cantica 21- progetto lanciato congiuntamente da MAECI e MiBACT che promuove e valorizza l’arte contemporanea italiana, sostenendo la produzione di opere di artisti emergenti o affermati, ed esponendole negli Istituti Italiani di Cultura, con l’opera 32 Metri Quadri di Mare (Mediterraneo) opera destinata al Museo Pino Pascali a Polignano.
Flavia: Ho dedicato l’ultimo periodo alla performance “at a proximateDISTANCE” che ho portato a spazioSERRA a Milano, nel contesto della rassegna venerazioneMUTANTE. Lo spazio di VOGA è stato perfetto per effettuare le prove della performance assieme a Katarina Nesic, danzatrice contemporanea indipendente, autrice del lavoro. Sono ora in fase finale di produzione di un’opera, SAREI, con cui parteciperò alla mostra collettiva “Marcello in presenza”, evento espositivo finale del percorso FARE ARTE CONTEMPORANEA a cura di Estuario Project. La mostra si svolgerà a Prato nell’ex macello dell’Officina Giovani dal 26 giugno all’8 luglio.
Bianca: Io porto avanti la mia ricerca con CampoBase, collettivo curatoriale multidisciplinare formato da ricercatori, filosofi, curatori, mediatori, storici dell’arte e scrittori che opera come piattaforma itinerante. Abbiamo appena presentato alle Piscine Cozzi di Milano,What do you sea?, un progetto video-installativo realizzato con l’artista Daniele Costa e il supporto dei sound designer Mauro Martinuz e Marco Furlanetto. Il progetto – risultato vincitore all’Open Call “L’immagine aperta” lanciata nel 2020 da Video Sound Art, in collaborazione con l’Archivio del Touring – ci ha permesso di coltivare la nostra aspirazione alla multidisciplinarietà: in What do you sea? a confondersi non sono solo i confini dei materiali visivi, testuali e sonori, ma anche quelli delle discipline e delle pratiche che non evitano il mescolamento, ma anzi si ibridano a vicenda, dando come risultato un lavoro corale e collettivo. Vi anticipo che il 9 luglio saremo ospiti di Scuola Popolare, nei giardini di Villa Romana a Firenze, per presentare il lavoro e creare un’ulteriore occasione di dialogo a riguardo attraverso una sessione di storytelling.
VOGA
Attraverso un programma di mostre, workshop e residenze, VOGA intende creare uno spazio accessibile ed inclusivo, che si concretizzi in occasioni pubbliche di incontro, confronto e dialogo nella città di Bari.
Partendo dalla posizione geografica di quest’ultima, VOGA si propone di tracciare una serie di rotte tra i paesi Mediterranei, creando alleanze trasversali basate sullo scambio tra artisti locali ed internazionali.
Così, VOGA punta a stimolare processi di apprendimento interculturale che favoriscano non solo lo sviluppo di nuove sinergie ma anche la valorizzazione delle diversità già presenti sul territorio pugliese.