E passano le ore
Franca Maranò (1920-2015) è stata un’artista attiva a Bari a partire dagli anni ‘50 ed ha contribuito a portare nella città una viva stagione dell’arte. Oltre alla sua produzione artistica, è fondamentale riconoscere il prezioso lavoro con la galleria Centrosei - in principio associazione "Centrosei Arte contemporanea Nuove situazioni" - fondata da Maranò nel 1970 insieme agli artisti Umberto Baldassarre, Mimmo Conenna, Sergio Da Molin, Michele Depalma e Vitantonio Russo, e in seguito gestita con la direzione del suo compagno Nicola De Benedictis, fino al 1991.
In realtà questo luogo fu molto più che una galleria: era uno spazio ricercato dove confrontarsi con altri artisti e mettere in visione una sperimentazione artistica di respiro internazionale in una città che, soprattutto allora, era percepita remota dai centri dell’arte, ma che il pubblico barese seguí con interesse, grazie all’impegno e alla lungimiranza del progetto.
La galleria ha portato in città diversi artisti come Sol Lewit, Mimmo Paladino, Luigi Ontani, Joseph Beuys, Giuseppe Capogrossi, Aldo Spoldi, Claes Oldenburg, Ettore Consolazione, Pietro Coletta, Michele Zaza, Mimmo Conenna, e i più giovani Giovanni Albanese, Lino Sivilli, Ettore Spalletti, Biagio Caldarelli e molti altri.
Vanno ricordate le rassegne collettive curate da noti critici: da Filiberto Menna a Nello Ponente, da Gillo Dorfles a Luigi Lambertini, da Pietro Marino a Enrico Crispolti e Renato Barilli.
Franca Maranò sostenne numerose personali di artiste (tra i nomi): Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Maria Lai, Lucia Romualdi, Adele Plotkin, Elisa Montessori, Ketty La Rocca, Renata Boero, Ada Costa, Fiorella Rizzo, Simona Weller e Marisa Albanese.
Le premesse fatte furono quelle della non commercializzazione delle opere, la galleria avrebbe avuto scopi culturali e di avanguardia
di tante vite, una - Franca Maranò (2001)
Ma Franca Maranò va soprattutto ricordata per la sua produzione artistica e la perseveranza con cui si è fatta strada nel riconoscimento del suo lavoro d’artista, scegliendo di rimanere di base nel mezzogiorno, ancora forte di una cultura patriarcale e muovendosi in un sistema dell’arte poco accessibile alle donne.
Maranò ha sperimentato diversi linguaggi e materiali, quasi per assecondare la sua personalità che faceva urgenti le questioni identitarie e il vissuto (il personale è politico!): dalla pittura alla scultura fino alla performance, i linguaggi e i temi spesso si imprimevano sulla superficie o nella materia dominata, fino a tornare asciutti nell’astrazione e nell’uso del colore - vedi la serie atonale “Ricerca di origine” o quella a colori “Cantastorie”.
Nella metà degli anni ‘70 con il movimento femminista, Franca Maranò sente il bisogno di incorporare riflessioni e rivedere le sue ricerche: “sentivo il bisogno di operare al di fuori della cultura del privilegio e senza più riferimenti con i codici del già fatto, con i tradizionali mezzi pittorici”. Cosí si apre un periodo di produzione legato all’ago al filo e alla tela.
Questa fase, in convergenza con altre ricerche oltreoceano, portano Maranò a intrecciare questa pratica alla condizione delle donne e al bisogno di liberare “i mezzi e linguaggi dalle gabbie culturali”.
Le pieghe e i punti hanno un significato che va oltre il visibile: essi sono espressioni di sentimenti chiusi dalle pieghe tenute ferme dai punti.
di tante vite, una - Franca Maranò (2001)
Nascono così la serie di opere “I cuciti” e gli “Abiti mentali”: è proprio nella galleria Centrosei di Bari nel 1979 che Franca decide di presentare una versione aggiornata degli “Abiti mentali”, vere e proprie opere da indossare. I tessuti sono delle tele misto di lino e canapa, un tipo di tela che la stessa Maranò utilizzava da ragazza per le lezioni di cucito dalle suore, attività che accomuna il ricordo di tante donne dell’epoca.
Lo spazio rettangolare e grigio della tela medioevale, ora tagliata, era messa a parete e si poteva indossare infilando la testa nell’apertura: sul tessuto Maranò realizzava delle piegature ribattute con grossi punti neri per poi fissare strisce simmetriche della stessa tela dipinte in rosso.
Quasi costituendo cosí un grado zero del soggetto, questo abito annulla la costruzione culturale e sociale dell’identità e del femminile, e diviene anche occasione di immediatezza con l’arte, in una performance della “vestizione” che riporta al quotidiano l’opera e il pubblico.
La ricerca di me non finisce mai. Sono una donna senza età.
di tante vite, una - Franca Maranò (2001)
Nell’estate del 1974 Franca Maranò realizza a Martina Franca (Taranto) una performance dal titolo “Le formiche sanno fare di meglio” all'interno della mostra “Arte totale”. Nel testo dell’artista, che accompagnava l’opera, si legge:
Nella corsa incessante al raggiungimento di un modello edonistico di vita, falsi sistemi, condizionando l’uomo, lo hanno avviluppato in un groviglio di artificiosi legami, allontanandolo da sé stesso e mortificandone il naturale impulso dinamico in una inerte presenza acritica. Spinto alla conquista del tutto, avido nella brama incessante di sempre nuove realizzazioni, giunto fino ai limiti del conoscibile, l’uomo non ha saputo trovare ció che invece aveva a portata immediata: la coscienza di sé come elemento costitutivo organico di contemperazione equitativa in un contesto socio-morale che gli comporti capacità di identificazione nel proprio simile.
E così, per sapere di più, per avere di più, per potere di più, egli è diventato fondamentalmente ignaro, instabile, insicuro, misero, incapace, avendo negletto e disimparato il principio fondamentale della sua situazione umana, la bellezza ed il piacere di essere e di sentirsi parte di un tutto, compartecipe di un grande destino comune, nel quale la vera felicità consiste nell’operare per gli altri e nel sentirsi più utile e più idoneo al fine del raggiungimento di un bene collettivo. L’uomo, quindi, nell’angoscia esistenziale di una inevitabile confessione di incapacità e di impotenza, dispera di sé e serra le mani in segno di resa.
Sogguarda, di contro, le conterranee formiche, piccoli umili esseri, i quali, nella piena dedizione alla comunità, nell'ordinata organizzazione gregaria, in cui l'uno è unicamente come parte del tutto, traggono ragione d’essere e qualificazione di validità soltanto nella misura in cui possono e sanno cooperare a quello sviluppo che si rappresenta e stupisce come eccezionale esempio di progresso evolutivo.
Sanno far meglio le formiche
Importante ricordare la presenza di Franca Maranò all’interno del volume “Il complesso di Michelangelo” del 1976 edito da La Nuova Foglio Editrice, fondamentale ricerca sulle presenze femminili nell’arte italiana del Novecento a cura dell’artista Simona Weller. Il testo raccoglie il contributo dato dalla donna all’arte italiana del Novecento, organizzato in sezioni (interviste, testimonianze, questionario) con 270 schede biografiche. L’invito della Weller risale al 19 aprile 1975, qui di seguito riportiamo un breve estratto dell’intervista.
Simona Weller: Che cosa pensa della critica, dell'arte italiana e delle donne che la professano? Segue il lavoro delle sue colleghe italiane? Quali sono quelle che stima? Le hanno mai detto che è brava come un uomo? e se sí come ha reagito a questa osservazione?
La domanda è un po’ scottante poiché la donna artista, in generale, si trova, per atavico senso paternalistico e spirito restrittivo, sfavorita nei giudizi valutativi in confronto agli uomini artisti.
L’arte italiana d’oggi la giudico un po’ viziata di provincialismo e di marginalismo, soprattutto in confronto alle intraprese di ben più ampio respiro concepite e realizzate in nazioni più favorite, anche sul piano economico. Ritengo inoltre che gioverebbe molto all’arte italiana un maggior senso di indipendenza e di originalità e di riscatto da una troppo immediata acquiescenza ai più appariscenti temi provenienti dall’estero.
Delle donne che professano l’arte in Italia ritengo che diano prova di notevole coraggio e di coscienza di sé.
Seguo con entusiasmo il lavoro delle mie colleghe. Le artiste che stimo sono: Vieira Da Silva, Titina Maselli, Carla Accardi, Bice Lazzari.
Diverse volte mi hanno detto di avere intravisto nel mio lavoro lo sforzo di un uomo: non c’è stata reazione a tale riguardo.
dall’Archivio di Franca Maranò https://www.francamarano.com/allumini-archivio