Trepuzzi, 3 Agosto 2020

Giardino project nasce come una suggestione epicurea, da un incontro, da una conversazione fatta lo scorso ottobre insieme a Francesco Snote, valido scultore piemontese. In uno dei bar del Balon a Torino, situati alle spalle di Porta Palazzo, tra il vociare della gente al mercato e la confusione all’ora dell’aperitivo gli argomenti erano vari e alcuni di essi già noti perché nell’arte, soprattutto in quella contemporanea, le problematiche sono quasi sempre le stesse e il più delle volte irrisolvibili.

Francesco mi raccontava dell’esperienza di PINETA vissuta insieme alla pittrice Lula Broglio in una casa privata, immersa nel verde dalle parti della Liguria, utilizzata per brevi periodi come luogo di ritrovo tra amici, per lo più artisti. Il pregio di questi aspetti è che l’arte, come scrive Bourriaud, è sempre stata relazionale a diversi gradi, cioè fattore di partecipazione sociale e fondatrice di dialogo1.

Pensando ai recenti trascorsi ricordo il periodo passato a Napoli, a Casa Morra. Uno spazio museale incredibile creato dall’ex gallerista e mecenate Giuseppe Morra dentro Palazzo Ayerbo D’Aragona Cassano, un ex convento monastico settecentesco di 4.200 mq situato al di là delle mura del centro storico della città, sulla collina di Materdei nel Quartiere dell’Arte. Dal 2016 Casa Morra, centro di ricerca museale attivo anche come residenze d’artista, è un grande archivio d’arte contemporanea dedicato ai movimenti come Gutai, Happening, Fluxus, Azionismo Viennese, Living Theatre e Poesia Visiva che raccoglie oltre 2000 opere di grandi artisti come Marina Abramović, Nanni Balestrini, Urs Luthi, Charlotte Moorman, Nam Jume Paik, Giulio Paolini, Luca Maria Patella, Vettor Pisani e Shozo Shimamoto tanto per citarne alcuni nomi.

Durante quest’esperienza anarchica e comunitaria dove arte e vita si compenetrano soprattutto nei luoghi domestici, fondamentali sono stati gli insegnamenti di Peppe Morra e gli incontri con Hermann Nitsch, Achille Bonito Oliva, Andrea Viliani, Cai Guo-Qiang, Nanni Balestrini e Cesare Pietroiusti, tutti maestri, interpreti e attori che hanno vissuto e vivono l’arte anche come un luogo di relazioni umane e connessioni di natura politica e sociale rispetto alle convenzioni del sistema del contemporaneo. Ora con il senno di poi credo che gli anni napoletani sono stati propiziatori di una ginnastica mentale, un esercizio germinale e silente che in qualche modo è servito per arrivare alla realizzazione di giardinoproject, palesata concretamente durante il periodo del lockdown.

In passato un personale confronto con la dimensione spaziale, legata ai luoghi non convenzionali, ha suscitato grande curiosità fin dalle mostre realizzate in un ex mercato del pesce, nell’auditorium rosso del MACRO, sulle fiancate del tram 19, nelle pensiline degli autobus, in una chiesa rupestre con la Vergine Nera di Vector Pisani, nelle sale e nella piazza d’armi di un Castello, sul prospetto di un vecchio edifico, all’ingresso di un appartamento a Lecce, nelle ampie e affrescate stanze di un nobile palazzo a Palermo e su di una rotonda spartitraffico nella zona industriale. Oggi l’idea di organizzare un pensiero legato alle arti visive, dentro il giardino di casa, è stata una riflessione in un certo senso forzata in quanto parafrasando Gilles Clément in “Breve storia del giardino” l’uomo decide di creare il proprio giardino quando sceglie di interrompere le proprie peregrinazioni 2.

Il blocco pandemico ha dato un’accezione reale e personale al progetto, trovando terreno fertile nelle parole del paesaggista francese e in altre letture che ho approfondito durante questi mesi. Rientrato fortunatamente il 5 marzo da Torino sono riuscito a trascorrere la quarantena nella casa di residenza a Trepuzzi, in un appartamento condominiale degli anni ‘80 (realizzato come piano di edilizia economica popolare) che dallo studio si affaccia in un piccolo giardino
rettangolare di circa centro metri quadrati con un unico cancelletto di entrata.

Questo recinto urbano protetto lateralmente da una schiera di viburno tinus (un sempre verde di origine mediterranea), da un pergolato di gelsomino bianco, da un giovane olivo e da altre specie di piante ha accolto gli assordanti silenzi di una reclusione legalizzata. Le giornate trascorse in quarantena sono state indispensabili a immaginare un giardino rumoroso, un microcosmo aperto e dedicato alle arti visive e al dialogo, un luogo domestico di condivisione processuale, relazionale e conviviale. L’idea di una forma di giardinaggio mentale prende consistenza spaziale citando l’annosa questione dell’arte che imita la natura o della natura che imita l’arte e che ha nel giardino il punto di sintesi massima, perché gli elementi che lo compongo coincidono con quelli che sono all’origine della vita sul nostro pianeta: acqua, aria, terra, fuoco (luce e fuoco) 3 .

Qui l’incipit letterario acquista una connotazione sospesa tra realtà e fantasia che mantiene da un lato i caratteri storici e figurati dei giardini pensili di Babilonia e dall’altro ospita e tramanda con la scrittura e l’oralità un sapere senza tempo, rivissuto in chiave contemporanea e domestica durante l’arco di un’intera giornata scandita dal canto e dall’operosità degli uccelli.
Vivere la dimensione di un giardino insieme a tutte le componenti che ne fanno parte, vuol dire non solo avere una cura costante di un ecosistema misurato, di un luogo architettonico, ma anche cogliere il legame sociale più autentico che si innesca in una dimensione quotidiana poiché, lo spazio delle relazioni correnti è quello più duramente colpito dalla reificazione generale.

Simboleggiato da merci o rimpiazzato da esse, segnalato da logo, il campo delle relazioni umane deve assumere forme estreme o clandestine se vuole sfuggire all’impero del prevedibile. Il legame sociale è diventato un artefatto standardizzato. In un mondo regolato dalla divisione del lavoro e dall’ultra-specializzazione, dal divenire macchina e dalla legge del profitto, ai governanti interessa che le relazioni umane siano canalizzate verso vie di fuga deputate a questo fine, e che si stabiliscano secondo uno o due principi semplici, controllabili e ripetibili. […]. Si tratta di una società nella quale le relazioni umane non sono più “vissute direttamente”, ma cominciano ad essere confuse a causa della loro rappresentazione “spettacolare”.

È qui che troviamo la problematica più attuale dell’arte di oggi: è possibile generare ancora rapporti con il mondo, in un campo pratico -la storia dell’arte- tradizionalmente destinato alla loro “rappresentazione”? Contrariamente a quel che pensava Debord, il quale non vedeva nel mondo dell’arte che un serbatoio di esempi di ciò che si doveva “realizzare” concretamente nella vita quotidiana, la pratica artistica sembra oggi un terreno ricco di sperimentazioni sociali, una riserva in parte preservata dall’uniformità dei modelli di comportamento.

Queste riflessioni avviate per Volume 0 trovano una ragionata interconnessine con gli interventi di Stefano Giuri e Caterina Molteni, concentrati entrambi su un’idea di comunità radunata come abbiamo visto in A tu per tu con Tutankhamon e in Pensiero che profuma di terra.

Se per l’artista (Stefano Giuri) questo tipo di aggregazione e riflessione collettiva si sviluppa intorno a una visione scultorea e performativa che non tralascia la storia, la società e osserva il presente, anche nelle ricerche condotte dalla curatrice milanese (Caterina Molteni), emerge un sentimento unitario basato su di un sistema cooperativo e sociale che studia e reinterpreta modi alternativi di coltivare la mente, nutrire il corpo, lo spirito e l’anima, attraverso un processo di trasmissione orale che con la narrazione si riallaccia alla storia e rinasce dall’esperienza mitica di Monte Verità, per arrivare fino a noi con le pratiche libere di Bagni d’Aria, raccontate per la prima volta tra le mura di un piccolo giardino di provincia.

Dove sognano le formiche verdi è il titolo del film di Werner Herzog del 1984, una pellicola dove le azioni e le lotte portate avanti da una comunità di nativi aborigeni, sono il segno di una resa mai negata in difesa della propria terra, della propria umanità e natura. Uno spunto di riflessione visivo per credere in tutti i modi e con tutte le forze nell’essenza di ciò che si è, per opporsi alla standardizzazione artefatta della società globalizzata.

Giuseppe Amedeo Arnesano


1 N. Bourriaud, Estetica relazionale, p. 15, Postmediabook, Milano 2010
2 G. Clément, Breve storia del giardino, Quodlibet, Macerata 2019
3 P. Grimal, L’arte dei giardini. Una breve storia, Feltrinelli, Milano- Roma 2018

4 N. Bourriaud, Estetica relazionale, p. 9, Postmediabook, Milano 2010

giardino project, a cura di Giuseppe Amedeo Arnesano, è un luogo domestico del verde dedicato al confronto critico e politico nelle pratiche artistiche e curatoriali contemporanee. Un recinto urbano dove artisti e curatori si alterneranno come ospiti di una residenza estiva di tre giorni. Talk, site-specific e operazioni editoriali sono azione e strumento di un processo di indagine dedicato alle dinamiche culturali e alle arti visive, ripensate in una visione periferica e di provincia come quella di un paese del Sud d’Italia.
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