Cuba introspettiva | Intervista al curatore Giacomo Zaza
La redazione di Salgemma ha avuto il piacere di visitare la mostra "Cuba introspettiva", ideata e curata da Giacomo Zaza e promossa dai Musei Nazionali di Matera, in corso fino al 30 giugno 2024. In questa intervista al curatore proviamo ad approfondire ricerca curatoriale e pratica artistica di dodici esperienze di videoarte da Cuba.
Salgemma: Partiamo proprio dal luogo che ospita la mostra l’ex ospedale di San Rocco di Matera, una delle sedi attive dei Musei Nazionali di Matera, ma aggiungerei anche un riferimento alla cura dell’allestimento che, con esito positivo, crea pareti e ambienti che accolgono video/suono conducendo l3 visitaror3 in un percorso “consultabile”: come nasce questa collaborazione e l’apertura verso il contemporaneo dei Musei Nazionali di Matera? Chi si è occupato del display della mostra?
GIACOMO ZAZA: La mostra Cuba introspettiva è una delle tre mostre ideate e curate per i Musei nazionali di Matera, organo pubblico che in modo incredibile abbraccia l’intera storia della creatività umana, dalla preistoria ai giorni nostri. I musei di Matera, nati nel 2020, sono diretti da Annamaria Mauro, che con la sua sensibilità e una rara capacità di gestione è riuscita a rendere polifonica e incisiva l’attività culturale dell’istituzione nazionale sul territorio.
Le tre mostre accolte tra il 2021 e 2023 dalla commissione scientifica dei Musei nazionali erano in linea con l’importante attività di esplorazione delle ricerche visive contemporanee non solo italiane, ma anche estere. Ovviamente il museo ha numerosi progetti in cantiere e sta sviluppando anche importanti sperimentazioni di dialoghi tra arte contemporanea e archeologia.
Inoltre gli spazi stessi dei Musei nazionali di Matera sono un patrimonio artistico suggestivo nel quale, come nel caso della mostra Cuba introspettiva, dover iniettare le attitudini e gli sguardi dell’attualità. Il percorso espositivo nasce da una mia idea di ricreare la sensazione di essere nelle strade di un centro storico cubano (può essere quello dell’Avana, Trinidad o Santiago de Cuba) e fruire man mano delle visioni, immagini in movimento come finestre che ci invitano a fermare i nostri pensieri e rivolgere la nostra attenzione a scenari che ci sollecitano, ci fanno immaginare un mondo visivo atipico (fatto di codici e comportamenti noti e meno noti).
La messa a punto e la definizione delle pareti e degli ambienti è stata possibile grazie all’architetto Michele Martino, che ha il merito di aver sviluppato l’idea del viaggio tra vita reale (la strada, la calle cubana) e l’immaginazione (i diversi video esposti).
S: Perché serve uno sguardo “introspettivo” (in riferimento al titolo della mostra) che raccoglie temi e sguardi di artisti contemporanei della Cuba degli anni Ottanta/Novanta, ma anche dell’ultimo trentennio [questo può rispondere all’affermazione famosa “il personale è politico” - Carol Hanisch]
GZ: Elaborare un progetto espositivo inerente alle esperienze “da” Cuba su un versante introspettivo significa vagliare e considerare i processi mentali, le pulsioni e gli impulsi, che filtrano il mondo circostante condiviso e quello interiore.
Mediante il video gli artisti cubani dagli anni Ottanta (nel caso di Tony Labat) e soprattutto negli anni Duemila, esprimono e danno forma a sguardi e comportamenti disincantati, a un immaginario di piena libertà nutrito continuamente da un senso critico e, non di rado, sarcastico. Il video permette loro di visualizzare azioni e sommovimenti che sono nel loro corpo - come direbbe Grotowski.
Il progetto ai Musei Nazionali di Matera dice che nella videoarte cubana c’è uno spazio di riflessione per ciò che è pubblico, privato e intimo nella società civile cubana e nelle sfere globali. La mostra – è bene sottolineare – comunica l’universalità dei valori, però una universalità che richiede un confronto continuo con la realtà e con la ricchezza della dimora culturale (non soltanto cubana) aperta a contaminazioni.
Per l’artista il video è il mezzo per sviluppare una coscienza individuale, anche totalmente fuorviante e dislocata come nell’opera di Luis Gómez Armenteros, sviluppata in maniera trasversale all’interno di una società, come quella cubana, in cui è imperante lo Stato collettivo. Dunque con questo proposito vediamo che i video in mostra portano un messaggio forte, non retorico, in attinenza non solo alla realtà della vita ordinaria dei cubani, ma anche alle “visioni” poetiche e a gesti artistici spiazzanti e audaci. Inoltre appare evidente che tutta la sperimentazione del video a Cuba è caratterizzata da una compenetrazione di codici visivi e linguistici alti e bassi, e una commistione di significati di varia natura.
S: Come riporti tu: “Parallelamente alle esperienze cinematografiche dagli anni della Rivoluzione in avanti, che scrutano i conflitti individuali e sociali - la videoarte cubana rappresenta un importante campo di sperimentazione metalinguistica, processuale e concettuale. Va precisato che il cinema cubano nei primi decenni del governo rivoluzionario conduce nel grembo dell'ICAIC (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos) ovvero nelle maglie non facili dell'istituzione - una osservazione innovativa e disinibita degli eventi, spesso attenta alle storie marginali che venivano scartate dalla narrativa "rivoluzionaria" ufficiale o da quella pre-Rivoluzione intenta a trasmettere un apparente attivismo socio-economico”.
In mostra una panoramica della ricerca artistica e sperimentale attraverso la videoarte/ anche integrata alla performance, vede opere in mostra che vanno dall’1982 al 2024, dando un’occasione unica di poter fruire uno studio-spettro sul linguaggio e, di riflesso, sulla storiografia cubana. Si può rintracciare – o evidenziare meglio - l’origine dell’interesse sulla produzione del video d’artista a Cuba - e nello specifico come incrocia il tuo interesse di curatore?
GZ: Gli artisti a Cuba hanno sempre avuto un contatto molto forte con l’ICAIC (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos) e con fotografi che lavoravano per il cinema, come Mario Garcia Joya e Marucha (María Eugenia Haya) che è stata anche il direttore della Fototeca di Cuba. Però fino ai primi anni Ottanta non c’è stata una produzione di video d’artista, soltanto sporadiche collaborazioni (la più nota è quella tra il regista Enrique Pineda Barnet e l’artista Sandú Darié per il cortometraggio Cosmorama, 1964, un “poema spaziale” di tipo cinetico con forme e strutture in movimento tra luce e colore).
È bene ricordare che nei primi anni Settanta (1971-1976) c’è stato un periodo buio, chiamato Quinquenio gris, una sorta di periodo di caccia alle streghe, in cui il governo cubano cercava di imporre un realismo socialista di ascendenza sovietica. In quegli anni gli artisti trovarono nell’iperrealismo una via di fuga per conciliare le esigenze dello Stato e la libertà di creazione. A un certo punto la cortina del conformismo estetico (di ideologia socialista) si è squarciata negli anni Ottanta col gruppo di artisti – tra cui Juan Francisco Elso, Bedia, Brey, Ruben Torres Llorca – che ha realizzato una mostra-evento intitolata “Volumen Uno” lanciata nel mese di gennaio 1981 a La Habana.
Intorno a questa mostra si riunirono artisti che credevano nella struttura sociale cooperativa autogestita, discorsiva e concentrata sui processi sociali, sulla ricerca di nuovi codici all’interno dell’ambiente culturale sincretistico e ancestrale, sul confronto e il dibattito delle procedure artistiche. Con “Volumen Uno” inizia un nuovo orizzonte artistico a Cuba, divergente dalle prescrizioni e dalle indicazioni ufficiali (a cominciare da quelle dettate attraverso il Primer Congreso Nacional de Educación y Cultura avvenuto in aprile 1971).
Senza trascurare il momento di crisi degli ideali (in particolare quelli del socialismo) per colpa dell’inclinazione poliziesca e della mentalità totalitaria dello stato, questo orizzonte ha comportato una varietà di espressioni e di linguaggi – nei primi anni Ottanta si avverte una sperimentazione intermediale e un confronto con personalità quali Ana Mendieta che frequenta l’isola tra il 1980 e il 1983. Il fervore artistico di quei primi anni si espanderà sempre di più attraverso i collettivi e i gruppi artistici nformi e attivi per breve tempo, orientati a un intervento di inclusione (mi vengono in mente il Grupo Hexágono, Arte Calle, Grupo Provisional, Art-De, DUPP).
Da tale scenario aperto all’esperienza diretta con la realtà e la comunità, con i substrati culturali e la molteplicità linguistica si accende l’interesse verso l’utilizzo del video, ovviamente il nastro magnetico o la cinepresa Super 8 sono difficili da reperire e gestire a Cuba. Soltanto alla fine degli anni Novanta diventa significativa la sperimentazione del video da parte degli artisti, i quali sono sempre su posizioni, palesi o ambigue, di critica politico-sociale del paese, di scavo antropologico fuori dagli spazi ufficiali dell’informazione cubana. E gli artisti attivi dai Novanta in poi osservano l’eredità lasciata dal primo decennio della Rivoluzione (1959-1969), emblematico sul versante della sperimentazione, molto penalizzata quando le autorità hanno voluto controllare e gestire l’arte come mezzo di propaganda.
S: “Cuba introspettiva” raccoglie nella tua ricerca curatoriale le opere di dodici artisti cubani: proviamo a dare una sintesi sui temi?
Provo a sintetizzare brevemente alcune linee guida. “Cuba introspettiva” seleziona un gruppo di artisti cubani rappresentativi dell’utilizzo del video dagli anni Ottanta a oggi. Il versante d’indagine che emerge dalla mostra è duplice: da una parte un approccio sociale e antropologico, dall’altra parte un’elaborazione simbolica, ironica o critica nei confronti della Storia e del potere in senso lato, ma soprattutto una visione alimentata da una creolizzazione di fondo, tra continui spostamenti e ridefinizioni.
Negli artisti nati negli anni Cinquanta e Sessanta si fa strada una morfologia identitaria multiculturale e transnazionale. Alcuni come Maria Magdalena Campos-Pons investono nel corpo e nelle sue pulsioni più recondite, incarnando l’energia della Santería - ambito spirituale ed esoterico le cui origini discendono dal popolo Yoruba, un ambito sincretico imbevuto di simbolismo, ritualità e magia di origine egizia, elementi del mondo geco, del mondo cabalistico ebraico e di quello cristiano (l’immagine e il significato della Trinità).
Altri artisti aprono spazi dell’immaginazione e della coscienza diversi rispetto ai discorsi autoritari di un paese nel mezzo del passato e del presente della Rivoluzione (Luis Gomez Armenteros, Ernesto Leal, Lazaro Saavedra, Sandra Ramos). In tutti loro emerge una carica d’introspezione consapevole dell’insuccesso dei grandi progetti politici.
Gli artisti cubani nati negli anni Ottanta crescono in una Cuba che vede la fine del socialismo reale (lo sfaldamento del “blocco orientale comunista”) e il susseguirsi di crisi economiche (la più drammatica: il “Período Especial” degli anni Novanta). Anche questi artisti contribuiscono a diversificare ancor di più il percorso tematico dell’arte cubana, slegato da qualsiasi confezionamento turistico “transculturale”.
Grethell Rasúa o Javier Castro, affrontano il “qui e ora” (la sopravvivenza in condizioni di vita soggette a una terribile precarietà economica e alla scarsità) e inventano nuove simbiosi con il mondo circostante. Mentre Susana Pilar Delahante Matienzo o Glenda León si muovono nei valori fondativi dell’esperienza (la solidarietà, la libertà dell’individuo).
Inoltre interpretano il carattere imponderabile di Cuba, luogo di transizioni e di riforme, accompagnato da difficoltà economiche e approcci rigidi.Dagli anni Novanta in avanti ricorrono vari elementi e ambiti di ricerca: la cruda realtà con tutti i suoi aspetti umani, l’energia del suono, il comportamento eversivo e l’umorismo (a volte noir), la speranza visionaria e il legame del corpo umano con la natura, la diaspora e lo spostamento, la memoria e il desiderio.
Inoltre si distingue una tenuta narrativa coincisa e poco enfatica: insomma un’articolazione della scena mai virtuosa. Potremmo affermare che la pratica video cubana è più performativa che cinematografica.
In Susana Pilar Delahante Matienzo ritorna l’identità femminile nera collegata all’esperienza personale e alla trama stratificata delle donne afro-cubane dentro Cuba. In tutta l’arte cubana che adopera il video, dall’Ottanta a oggi, vige la disillusione e libertà poetica, la demistificazione e la spiritualità (anzitutto vissuta interiormente), la migrazione e la molteplicità dei messaggi.S: La mostra chiude il 30 giugno, con un evento/finissage: quale pubblico avete raggiunto e verrà realizzato un catalogo?
GZ: La mostra ha ricevuto un pubblico numeroso e costante, italiano e straniero. Nel complesso spettatori attenti e predisposti alla fruizione delle vicende video. L’attenzione maggioreè stata riscontrata dalle generazioni più giovani. In autunno verrà pubblicato un libro sulla videoarte degli artisti cubani.
Informazioni:
CUBA INTROSPETTIVA. Esperienze performative di videoarte
L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 30 giugno 2024 presso l’Ex Ospedale di San Rocco (piazza San Giovanni, Matera) nei seguenti giorni e orari: Lun. – Dom. 9:00-20:00 e Merc. 14:00-20:00.
Evento di chiusura Domenica 30 Giugno ore 21:00
“RESONANCIAS"
Performance audio-visiva con il percussionista-compositore Pino Basile, suoni di Daniele Antezza e visual di Federico Nitti
Per informazioni: +39 0835 310058, mn-mt@cultura.gov.it