a cura di Roberta Mansueto

con:

Antonella Marino - Fabiola Cangiano - Alice Labour - Francesca Schinzani - Caterina Riva - Ivana Pia Lorusso - Laura Perrone - Ezia Mitolo - The Glorious Mothers - Alessandra Costantiello - Lara Gigante - Mariantonietta Bagliato - Maria Grazia Carriero - Roberta Mansueto - Flavia Tritto - 

Salgemma cura per l'Agenda online, un piccolo articolo invitando alcune artiste, curatrici e operatrici culturali a condividere brevissime riflessioni sullo "stato di salute" del lavoro culturale per le donne, integrando alcune ricerche e studi sviluppati negli ultimi anni che aprono al tema del lavoro e dell'occupazione delle donne nel mondo dell'arte.

Solo la scorsa settimana si manifestava in piazza l'8 marzo, per una lotta transfemminista in una società patriarcale e sempre più preoccupantemente machista.

La suggestione inviata dalla redazione di Salgemma, che non può prescindere l'ambito dell'arte e il lavoro culturale, è la pubblicazione del 1976 dal titolo “Il Complesso di Michelangelo" di Simona Weller, artista e scrittrice italiana, un testo che potremmo posizionare all’interno del dibattito degli anni ‘70 (pensiamo al saggio di Linda Nochlin - del 1971 - "Why have there been no great women artists?") e dunque in quelle che erano le prime indagini che questionavano le presenze femminili nell’arte italiana.

Ricordiamo anche che la prima mostra che ne faceva un'accurata analisi, avverrà solo nel 1980 con “L'altra metà dell'avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche”, mostra d'arte moderna e contemporanea, al Palazzo Reale di Milano, curata da Lea Vergine.

La suggestione inviata alle ospiti di questo editoriale è l'invito-intervista che Simona Weller inviò - a mezzo di posta - a Franca Maranó, artista barese scomparsa nel 2015. Chiaramente le domande sono dattilografate nello "spirito del tempo" e alcune di queste oggi, a chiunque, potrebbero sembrare obsolete: ma una pungente realtà dimostra che la cultura patriarcale regna ancora in ogni piccolo anfratto del mondo-lavoro e, se forum e ricerche lucide portano a statistiche e riflessioni dell'evidenza, forse abbiamo bisogno di nuovi spazi per interrogarci sulla salute del nostro lavoro culturale?

A distanza di 50 anni, come ci posizioniamo/e che esperienza ancora viviamo noi artist3, curatric3 e operatrici cultural3 nel mondo del lavoro culturale?

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Weller incluse, nella sua indagine, alcune artiste del sud Italia che operavano nel contesto nazionale/internazionale, ma soprattutto ci offre una panoramica della cultura e del lavoro delle donne nell’arte in Italia, guardando anche verso Sud: un documento molto importante da leggere ancora oggi.

Rispondo tralasciando l’ovvia questione della divisione dei ruoli nelle società patriarcali, che per secoli hanno inibito alle donne la sfera pubblica, ma evidenziando piuttosto una contraddizione semantica (che altri prima di me hanno già segnalato, a partire da Carla Lonzi, e anche alcuni artisti maschi hanno praticato, Duchamp in primis). La domanda stessa andrebbe riformulata, perché da ripensare è proprio il mito del genio su cui si è fondata buona parte della Storia dell’arte occidentale. La quale, come il pensiero femminista insegna, non è neutra, bensì basata su paradigmi maschili di valori e di potere.

Credo che a tutte noi sia stato detto almeno una volta "sei brava per essere una donna" e quando succede è sempre tanto disarmante quanto avvilente. La risposta, tuttavia non sempre è puntuale, esaustiva e pungente quanto vorrei, né rispecchia a pieno la rabbia e la violenza con la quale vorrei reagire. Con il tempo però ho imparato che l'unica vera risposta possibile che mette sempre tutti a tacere è il lavoro stesso! Dimostrare quotidianamente il valore di ciò che faccio, la serietà con cui lo faccio e il non dover mai dire grazie a nessuno per questo!

Sono stata aiutata da alleate e alleati, artiste e artisti, curatrici e curatori che hanno creduto nelle mie ricerche e nella possibilità di creare e progettare insieme. Il loro entusiasmo e le loro sensibilità mi hanno trasmesso energie e visioni che hanno trasformato il mio modo di curare e ricercare. Questa rete di relazioni trasformativa alimenta il mio lavoro.

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Mi occupo di arte contemporanea da più di 20 anni. Tra le varie mansioni svolte agli inizi della mia carriera mi è capitato di scrivere per riviste d’arte. Ricordo qualcuno malignare che quelle collaborazioni fossero arrivate perché amica (leggi amante) dell’uomo in posizione di potere. La cosa (falsa) mi faceva incazzare perché implicava che non ci sarei potuta arrivare da sola. Ora sono la direttrice di un museo, ma capita ancora che mi scambino per assistente, semplicemente in quanto donna.

Alcuni anni fa vidi uno spettacolo che non saprei neanche dire se in quel momento mi parlò, mi mosse. Era “Love Me” di Marina Otero, performer e autrice argentina. Prendo in prestito le sue parole, o almeno la mia riformulazione sintetica appuntata tra le note, per esplicitare in che modo la mia ricerca autoriale sullo statuto dei corpi e della performance possa definirsi una pratica di resistenza femminista.

1. In un certo senso, scrivere il teatro è scrivere il futuro.
2. Questo corpo qui seduto chiede disperatamente di essere amato. Anche questo ho imparato dal teatro.

Non esiste dinamica di gatekeeping che possa definirsi neutrale: decidere chi e cosa debba stare sulla scena dell’arte è un atto politico e l’esercizio di un potere. Quando ho vissuto sulla mia pelle questo tipo di oppressione intersecata alla violenza patriarcale, la decisione di attraversare l’arte contemporanea con il mio corpo politico è stata impellente e liberatoria, la forza propulsiva di un processo deliberato di autodeterminazione e lotta.

Prevederne i tempi è difficile: viviamo in un clima di crescente oscurantismo, dove diritti già conquistati vengono messi in discussione, rallentando ogni progresso. Credo sia fondamentale costruire un’educazione partendo dal proprio microcosmo familiare, crescendo i nostri figli senza rigide categorizzazioni, per accogliere le differenze e vivere con maggiore libertà. La strada è lunga e faticosa, perché alle donne si continua a chiedere sempre di più. La voce femminile nell’arte è un coro di poche anime: affinché risuoni chiaramente, c’è bisogno di più voci.

Ricerca condotta tra il 2016 e il 2018 da tre docenti Naba – Silvia Simoncelli, Caterina Iaquinta ed Elvira Vannini – nell'ambito del Master in Contemporary Art Markets

La maternità è uno stato di grazia. Aiuta a generare una certa intelligenza sensibile e a sviluppare l'intuizione, elemento necessario e utile per raffinare determinate fasi del processo creativo. Il contesto in cui ci muoviamo, nostro malgrado, sembra non essere accogliente verso l'infanzia, ma ciò che non si apre all'infanzia è destinato a morire - pensiero notturno.

In prima battuta sembrerebbe di si, la famiglia sembra essere antagonista al lavoro creativo. La maternità, i compiti di cura, il carico mentale, distolgono tempo e attenzione al lavoro professionale. Il cambiamento da affrontare però è culturale: il gender gap, una professione poco remunerativa e precaria, l’assenza di previdenza sociale, lo squilibrio genitoriale, la mancata valorizzazione del lavoro di cura, appesantiscono la maternità come libera scelta e il rapporto di coppia.Il matrimonio degli anni 70 è superato: dovremmo celebrare il nostro matrimonio collettivo! In The Glorious Mothers il processo artistico include attivamente il rapporto con l3 figl3, che no, non sono un ostacolo, piuttosto ci rivelano molte intuizioni: indaghiamo le relazioni di cura, nutrendole e allo stesso tempo mettendole in discussione.

A volte ho l'impressione che la genitorialità sia un fatto che riguarda le donne, invece credo che la maternità debba essere un fatto che riguarda una comunità. Il lavoro di cura e i sacrifici delle giovani madri e della rete familiare, se c'è, sono dati per scontato. Daria Bignardi in un'intervista ha detto che: "non ho intervistato molte donne nei miei programmi semplicemente perché, a differenza degli uomini, hanno sempre da fare". Ecco se ci fosse una comunità intera a sostenere una famiglia forse anche noi scriveremmo una canzone su come sia bella la genitorialità (vedi Brunori Sas) perché a noi donne cambiano sicuramente le "proporzioni del cuore", ma anche delle giornate.

In una prima lettura delle domande ho sorriso, anche con un certo compiacimento nella consapevolezza che da allora, tanti traguardi sono stati ormai conquistati. In una seconda, più intima e riflessiva, ho invece ammesso che, malgrado questo, e nonostante continuino ad incrementarsi attenzione e sensibilità sull’argomento, diversi preconcetti e stereotipi (malcelati) purtroppo ancora sussistono, rendendo tuttora “faticosa” la nostra piena affermazione professionale; lo confermano i dati recenti sulla presenza femminile nel mondo dell’arte. È importante allora chiedersi: quanto tempo e impegno, ancora, per un sano equilibrio tra le parti?

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Riflettevo, avendo esperienza di insegnamento in Accademia di Belle Arti e ora al Liceo d'arte, che c'è una percentuale altissima di donne (e che costituiscono la maggioranza nelle classi) che si iscrivono e frequentano i corsi di studi artistici. Questo è un dato molto importante anche da leggere in chiave di inserimento al lavoro: se queste presenze, in effetti massive, reggono anche una certa economia nella formazione specialistica, questo non si riperquote positivamente nel sostegno e avanzamento di carriera.

Federica Timeto, nel saggio "L’arte al femminile. Percorsi e strategie del femminismo nelle arti visive", scrive:

"Se inizialmente, però, la possibilità stessa di utilizzare il linguaggio patriarcale ha significato la libertà e l’autonomia di definire un’estetica femminista secondo il diverso punto di vista delle donne, successivamente è stata proprio l’idea di definizione a perdere tutta la propria radicalità ed efficacia, e a rivelare la complicità col sistema di esclusioni verso cui si indirizzava la sua critica, in parallelo con la de-essenzializzazione della differenza postmoderna nella pluralità di relazioni emerse nel contesto post-moderno e ancora di più post-coloniale".

Credo che sia importante allontanare situazioni lavorative bistrattanti, misogine e svilenti. Mi è capitato spesso e, anche se tutt3 oggi abbiamo strumenti acuti di lettura di questi atteggiamenti reiterati nella nostra società, spesso per timore o per mancanza di lavoro, molto spesso mandiamo giù comportamenti scorretti di collegh3, cap3 o collaborator3. Io ho sempre detto la mia. Ma vedo nelle nuove generazioni molta più determinazione sui diritti del lavoro. Evviva.

Sono stata aiutata moltissimo dalle prime donne artiste il cui lavoro ho incontrato quando ho iniziato ad occuparmi di arte contemporanea. Artiste come Adrian Piper o Anna Mendieta, Georgia O' Keeffe, con linguaggi e pratiche disparate. È stato fondamentale per me incontrarne il loro lavoro perché fino a quel momento - venivo da altri studi e avevo ormai 23 anni- non trovavo nella storia dell'arte che conoscevo, spunti o precedenti che potessero prevedermi come artista. Incontrando loro ho capito di avere una genealogia e quindi un futuro.

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Riportiamo alcuni appunti del documento redatto in occasione del Forum sull'arte contemporanea del 2018, coordinato da Annalisa Cattani e Stefania Galegati:

" È emerso che è necessario innanzitutto un osservatorio di ricerca permanente, dove riformare il linguaggio a partire dall’alta formazione. Abbiamo cercato di formulare alcune domande precise.

Chiediamo ad accademie e università la costituzione di dipartimenti dedicati agli studi di genere. In Italia c’è una mancanza di tali strumenti, che negli altri Paesi invece esistono ormai da trent’anni. Sia le molteplici posizioni filosofiche che la raccolta di dati e statistiche vanno incanalati in veri e propri percorsi di studio strutturati.

Per quanto riguarda il Ministero delle Pari Opportunità, chiediamo la costituzione di una piattafor- ma attiva e continuativa, con indicatori per analizzare dati e modalità del lavoro delle artiste donne.

Chiediamo ai musei di rimettere in questione le loro programmazioni con una presa di coscienza rinnovata.

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https://www.procreateproject.com/

Dedichiamo questo editoriale ad Antonella, donna, madre e fiore fortissima.

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